Ems! funger RIVAROL MASSIME DI UN CONSERVATORE . ~ . f! .. ..r Titolo originale: Rivarol ~ ERNST JÙNGER RIVAROL MASSIME DI UN CONSERVATORE Traduzioni di Brunello Lotti e Marcello Monaldi ISBN 88·7746·'09·) © Ernst Klett, Stuttgart 1978 © 1992 Ugo Guanda Editore S.p.A., Strada della Repubblica '6, Parma UGO GUANDA EDITORE IN PARMA LA VITA E L'OPERA DI RIVAROL Nota Ernst Jiinger ha non solo scelto e prefato, ma anche tradotto nella propria lingua le massime di Rivarol. Nell'edizione italiana, i testi di Rivarol sono stati direttamente tradotti dal francese da Brunello Lot ti. I testi di Junger sono stati tradotti da Marcello Monaldi. 1 L'impresa di tradurre un autore scomparso da oltre cen tocinquant'/lnni/ per quanto attiene al traduttore, quasi non abbisogna di giustificazioni. Resta questione del tempo libero e del piacere che vi ha trovato. In questo senso, la traduzione appartiene da sempre alle forme più alte di passatempo. Ma la passione del traduttore si esprimerà comunque in una materia e in un autore per i quali egli nutre una predilezione. Perciò, non è casuale né la scelta dell'autore né la selezione della sua opera. Entrambe saranno precedute da simpatia, da attrazione. Alla traduzione conduce allora il desiderio di giungere alla più profonda penetrazione di un'opera, alla lettura più intensa che sia possibile. Essa insegue uno spirito fin nei capillari, fin nei sentieri a precipizio e in quelli più sotterranei. Come in pittura la riproduzione dei maestri del passato, cosl, nella lingua la traduzione può essere considerata uno dei migliori esercizi, un duro corso con un maestro di scherma. Per contro, la pubblicazione presuppone ulteriori considerazioni: essa oltrepassa il quadro dell'inclinazio ne personale e il traduttore deve chiedersi quale rappor to con il presente possieda il suo progetto. Nel caso di Rivarol e della sua opera, tutto ciò andrà brevemente discusso. 9 2 Antoine conte di RivaroI, come egli si definiva, nacque il 26 giugno 1753 a Bagnols in Linguadoca, primogenito di sedici fratelli; la famiglia viveva in una ristretta cer chia di relazioni. II padre, ]ean-Baptiste Rivarol, eserci tava diverse professioni, tra cui quelle di insegnante, esattore e albergatore. Già Sainte-Beuve definiva l'origine di Rivarol « inex tricable », e con ciò si riferiva anzitutto alla pretesa del titolo nobiliare di conte, che non era suffragata dal regi stro dei battesimi. Può essere che Rivarol si attribuisse queste qualità allo stesso modo in cui lo Chevalier de Seingalt, richiesto di giustificare il suo stato di cavaliere, si richiamò al fatto che egli era il signore delle ventiquat tro lettere dell'alfabeto. Può anche essere, però, che la sua famiglia, come afferma Rivarol, dovesse le proprie origini a un ramo separato di un antico casato genovese. In ogni caso, Rivarol non è vissuto a spese del suo nome, come hanno fatto molti altri, ma lo ha invece portato agli onori. Tutto ciò è molto più raro. Intorno alla fine del XVIII sec., quando la nobiltà aveva un così grande ruolo, si era più tolleranti che in seguito dinanzi a simili correzioni sul biglietto da visita, e persino rispetto ad oggi. Ciò conferiva alla società quella sciolta e leggera eleganza che mai più doveva essere raggiunta e che, da un lato, si può considerare come uno dei segni del suo tramonto, dall'altro come un allentamento dei vincoli so ciali, che non spiritualizzò soltanto i rapporti personali ma arrecò anche all'arte un notevole profitto. In questa società, la fama di essere una mente sottile o di avere un talento brillante dava, immancabilmente, non solo un accesso ma anche un buon posto nei salotti. Si ha addirittura l'impressione che spesso bastasse la fa ma; e a simili osservazioni può riferirsi il motto di Riva 10 rol, che non avere prodotto alcunché è un enorme van taggio, purché non se ne faccia cattivo uso. Accanto ai grandi del giorno, a filibustieri e avventu rieri che si presentavano con la loro parte di brillantez za, in questa società prerivoluzionaria si incontravano anche nomi che ancor oggi conservano la loro fama. Tra questi rientra anche quello di Rivaro!. Visto nel suo tem po, egli non è un caso isolato ma una delle manifestazio ni tipiche. Non meno tipica è la sua storia precedente la com parsa a Parigi, dove egli trovò subito considerazione. Come accadeva a molti figli di talento di famiglie prive di mezzi, di lui si prese cura la Chiesa. Dopo aver fre quentato diversi istituti religiosi, distinguendosi ovun que come un allievo brillante, concluse i suoi studi sot to la protezione del vescovo di Uzès nel seminario di Saint-Gard ad Avignone, che lasciò come Abbé. Con ciò egli si muoveva, come già detto, lungo una delle strade abituali, quella dello scolaro povero che si distin gue precocemente in virtù del suo talento. È questa una razza in cui il clero cerca di fare proseliti, anche se deve mettere in conto che alcuni dei suoi borsisti, come fece Rivarol e certo non poteva non fare, passano poi alla vi ta del mondo. Tanto per citare un esempio, allo stesso modo debuttò Chamfort, che viene spesso nominato ac canto a Rivarol e al quale viene anche comparato. Di qui Stendhal ha ricavato un modello romantico: i suoi eroi soffrono e maturano nell'ascesi e negli intrighi delle scuole d'apprendistato religioso, prima di darsi alla car riera militare, alla politica o alla letteratura. La rigorosa disciplina, connessa a una forza elementare, produce ef fetti esplosivi. Di Rivarol, almeno, non si può dire, come invece di qualche altro, che abbia ripagato questo sostegno con l'irriconoscenza: in lui, quindi, si cercherà invano anche 11 Il quel cinismo nei confronti dei suoi mecenati, che si tro va in Chamfort. Dietro ai suoi pensieri, per quanto ven gano espressi con libertà e leggerezza, si nasconde una solida formazione, sia nella lingua, sia nelle conoscenze generali. Ad essa egli deve la sua familiarità con la lette ratura, la storia e la mitologia classiche, le sue inclinazio ni grammaticali ed etimologiche, la sua predilezione per spiriti come Dante, Pascal e Agostino. Su questa base si fondava l'esatta visione della condi zione letteraria, sociale e politica della sua epoca. È da supporre che Rivarolla conseguisse nei suoi primi anni parigini, sui quali possediamo solo sparute notizie. In questa capitale, in cui, secondo le sue parole, « la prov videnza opera più intensamente che in ogni altro luo go », e in mezzo alla sua vita febbrile, gli anni di appren distato furono per lui proficui. Per poter giudicare uno stato di cose, occorrono sempre dei criteri che sono stati acquisiti andando oltre i limiti di quello stesso stato, e che Rivarol si guadagnò attraverso la disciplina spiritua le. Al contrario, il tentativo di venire a capo di un'epoca con i soli mezzi offerti da questa, si consuma nel girare a vuoto intorno ai suoi luoghi comuni: non può riuscire. È questo il motivo per cui si vedono fallire spiriti volitivi ma limitati. Non ci inganneremo se supponiamo che questi anni furono riempiti anzitutto da due grandi occupazioni spi rituali: la lettura e la conversazione. Per quel che attiene alla lettura, già i suoi primi lavori mostrano che Rivarol aveva un'esatta opinione di quegli autori che noi ancor oggi apprezziamo, ma anche della schiera di coloro i cui nomi sono da lungo tempo dimenticati. Una tale familia rità presuppone una lettura pressoché ininterrotta, un avido divorare libri giorno e notte. Vi sono dei periodi, mesi e anni, nella vita dei giovani, in cui essi sono posse duti da questa furia di leggere come da una malattia, da In questo ambito occorre riservare un'attenzione parti colare alla conversazione. Per il forestiero privo di mez zi, essa rappresenta in ogni caso uno dei primi rimedi e spesso l'unico, poiché fa le veci in c~po spirituale non solo della moneta sonante ma anche delle armi. Il novi zio viene considerato avvincente, attraente, pronto, se ducente in sommo grado, smagliante, incantevole nel suo fascino. Certo, trionfi simili presuppongono la me diazione di una civiltà colta, in cui siano altamente svi luppati tanto l'espressione quanto l'intesa. Senz'altro era questo il caso nell'epoca in cui nacque Rivaro!. Se allora lo si celebrava come un maestro, ciò va considerato come un giudizio che fa riferimento a un livello già elevato. L'intesa si era così straordinariamente raffinata da venir suscitata attraverso il più lieve accen no, attraverso l'ombra e il battito più leggeri di una pa rola. Di qui uno stile peculiare nell'allusione, nell'im provvisazione e nella frase epigrammatica. Così come prima di certi temporali quasi tutto diventa elettrico, tanto che i fuochi di Sant'Elmo sfavillano da ogni estre mità, vi è anche un clima sociale in cui la conversazione affascina e congiunge come un fluido spirituale imme diato, iniflesso. In effetti, vi è qui un che di elementare, un ritorno alla natura su un piano più alto. Come i sel vaggi sanno indovinare dal silenzio, così anche qui vige un'intesa nell'inespresso: la parola è simbolo che bre vemente riluce. La battuta non è preparata; è pronta, sprizzante come da bottiglie di Leida che vengano toc cate. 12 13 un vizio: e così deve essere stato anche in Rue de Riche lieu, dove allora abitava Rivaro!. 3 Dove tutto si fa pieno di spirito, vi è anche il rischio che tutto diventi gioco e che estenui lo spirito, che lo esaurisca nell'allusione. Lo avvertiamo subito alla lettura di una quantità di bonmot, anche eccellenti. Ai tempi di Rivarol vi erano dei veri illusionisti, che dalla parola estraevano l'inatteso. A costoro apparteneva il Marquis Le Bièvre, che era ufficiale della Guardia e possidente. La fama della sua prontezza lo condusse sino al re, che lo convocò e lo mise alla prova: « Sire, datemi un soggetto ». « Ebbene, trovatene uno sul mio conto. » « Sire, il re non è un soggetto. » Questo è uno degli innumerevoli Bièvriana, che van no presi solo a piccole dosi. Ne vengono tramandati di simili da parte deI principe di Ligne e di molti altri e il valore che veniva riposto nel gioco di parole in senso la to, lo si ricava al meglio dal fatto che gli stessi Enciclo pedisti chiusero la serie dei loro volumi in quarto con una raccolta di bonmot, trovate, zibaldoni, che degene rano nell'insensato e nell'insulso. È probabile, ed è anche attestato, che nell'intratteni mento Rivarol non abbia scansato del tutto lo scoglio deI calembour. Tuttavia, quanto a potenza spirituale, egli era infinitamente più dotato di un Bièvre e anche di questo vi sono testimonianze. Tanto per fare un esempio, vi è differenza tra il gioco di parole di cui sopra e il motto di Rivarol: «Un libro che viene sostenuto è un libro che cade »? Certamente si, e alquanto significativa. La rispo sta di Bièvre al re e il suo fattore di sorpresa si limitano a un gioco di parole, poiché con soggetto si può intendere tanto un tema quanto un sottoposto. L'effetto risiede nel vocabolo e nel suo contenuto cangiante. AI contrario, quando Rivarol osserva che un libro che viene sostenuto è un libro che cade, che dunque non possiede alcuna ca rica spirituale e ispiratrice, egli oltrepassa di gran lunga la sfera dei riecheggiamenti e delle associazioni. Come un lampo, la parola rischiara l'abisso che si apre tra un autentico lavoro e una pretenziosa propaganda: è perti nente non solo sul momento ma in ogni tempo e anche oggi, poiché tocca uno degli eterni punti deboli della ti rannide. 2 Qui non vi è più ambiguità. Leggero, e tuttavia demolitore, è il colpo che viene inferto. La finezza, cui era pervenuto lo spirito francese alla fine dell'Ancien régime, doveva sprofondare con il suo depositario, la vecchia società. Essa riluce ancora negli scherzi che venivano osati davanti alla ghigliottina. Di Rivarol bisogna dire che, quanto alla forma, egli parteci pava si di questa eredità e tuttavia andava più a fondo. Per questo, in un tempo in cui la Rivoluzione era al mas simo della sua potenza, egli poté volgere la parola con tro di essa. Contemporanei e biografi di Rivarol hanno deplorato il dispendio di energie con cui egli si dedicava ai rappor ti sociali e alle conversazioni; uno sperpero che senza dubbio fu di danno alla sua opera e forse anche alla sua vita. Si diventa le vittime dei convivi di cui si è stati gli eroi. Dinanzi a queste obiezioni andrebbe considerato se esse non svalutino troppo la conversazione, tanto nel suo significato quanto nella sua efficacia. Nelle sue più alte espressioni, la si può prendere come un'opera d'ar te, allo stesso modo che in Giappone, ad esempio, si an novera la struttura di una strada tra le opere d'arte. A ciò non si oppone la sua fuggevolezza, poiché alla fin fi ne ogni opera d'arte è fuggevole. Cosi intesa, la parola parlata può avere lo stesso rango di quella scritta, ben ché la formulazione per l'ascoltatore sia diversa da quel la per il lettore. Certo è che la conversazione ha anche un compito che spetta a lei sola e non può essere sosti tuito da alcun altro mezzo. In essa si deposita proprio quel che di fugace, quel chiaroscuro dei tempi che nes 14 15 suno storico rievocherà. Esso trascolora con il giorno co-· me la brina, il velluto dei frutti. È questo il senso in cui la conversazione basta a se stessa: un evento si fa compiuto, da accadimento si fa storia solo quando l'uomo che lo vive, che lo patisce ne ha parlato con un suo simile. È questo un atto magico. Inoltre, è evidente che, in epoche movimentate, la con versazione sia il primo e più importante ricettacolo delle opinioni. Qui le acque si raccolgono e acquistano quella potenza che infrange le dighe e gli argini. Qui, davanti al camino e intorno alla tavola rotonda, si formano anche i modelli delle orazioni tribunizie, che, come tutti gli in grandimenti, sono più forti e più rozzi. Perciò, non è le cito sottovalutare iI valore che Rivarol conferi alla con versazione, a prescindere dal fatto che egli era nato per la conversazione come iI pesce per iI nuoto e l'uccello per il canto. Noi consideriamo piuttosto la conversazio ne come la parte invisibile della sua opera, il cui signifi cato ci' permette di comprendere quella visibile e tra mandata. Come partecipante e presto anche come fulcro di con versazioni, Rivarol avrà dunque fondato la sua fama dapprima in cerchie più piccole e poi in una cerchia più grande e sarà infine diventato l'insostituibile arbiter ele gantiarum, che entrò poi nella leggenda. Abbiamo già accennato agli svantaggi che un simile talento porta con sé, in quanto vincola le forze produttive e le esaurisce in un fuggevole godimento. A ciò si aggiunge l'indolenza, che troviamo quasi sempre associata all'eccessivo leggere e di cui Rivarol era ben consapevole, come mostra l'epi taffio che si fece scolpire, «la pigrizia ce lo ha rubato prima della morte». Cosi, non fa meraviglia che in questi anni di conversa zioni, di libri, di inoperosità piena di spirito, egli non ab bia quasi avviato dei lavori. Oltre a ciò, In questo periodo ebbe una relazione con una inglese, Miss Mather-Flint. Rivarolla sposò, per separarsi da lei subito dopo: le cir costanze sono ignote. Che queste non fossero troppo ro see, si può ricavare dagli epigrammi che egli dedicò agli Inglesi e alla loro isola, del tipo: « Dio vi preservi dall'a more di un'inglese ». Egli dice anche che alle inglesi sono cresciute due mani sinistre. È caratteristico che le sue frecciate si riferiscano sempre al gusto, e cosi anche in questa unione, da cui nacque un figlio, si sarà presto ma nifestata una sensibile diversità di inclinazioni. Se avesse potuto leggerla, Rivarol avrebbe difficilmente condiviso la premessa all'edizione completa delle sue opere, con cui questa donna si ripresenta nel 1808 quale sua vedova. Es sa fornisce un esempio della guerra tra diadochi che di vampa attorno alle opere letterarie postume. Come molto è sconosciuto nella vita di Rivarol, cosi anche il ruolo che in essa ebbero le donne. Come del suo matrimonio, altrettanto poco sappiamo dell'amante che lo accompagnò in esilio e di cui si è conservato solo il nome, Manette. Dal suo carattere e dalle sue opere si deve tuttavia ricavare che i suoi ideali si inserivano esat tamente in quella cornice che Stendhal ha descritto co me «l'amore capriccio» nella famosa Introduzione al suo libro sull'amore. Stendhal dice che in esso persino le ombre sono colorate di rosa, che non c'è nulla di passio nale o di imprevisto e che per questo vi domina spesso una maggior delicatezza che nel grande amore e, sem pre, l'intelligenza. Questà è anche l'atmosfera della «( Ca mera doppia» di Baudelaire, dove però domina il blu. Ora, si potrebbe immaginare la perfezione di una 16 17 4 persona elevata a tal punto da produrre un effetto ultra terreno. Nelle massime di Rivarol troviamo una siffatta apoteosi ed essa è istruttiva. La signorina Laguerre, un'attrice che sera dopo sera incanta il pubblico della metropoli, per un caso singolare viene portata in costu me in una sperduta contrada. I contadini, cui appare so prannaturale non solo lo splendore del suo abito ma an che la sua bellezza, la grazia dei suoi movimenti, la me lodia della sua voce, la prendono per un angelo caduto dal cielo e si mettono in ginocchio davanti a lei. L'intesa diventa tanto più rara quanto più si è raffina ta la critica. Nella stessa misura, elementi spirituali ed estetici si aggiungono a quelli erotici. Agli accessori che sono preziosi all'esistenza, e cioè la compagnia, il lin guaggio, l'abbigliamento e la tavola viene conferito l'a spetto della perfezione artistica; e cosl, si differenziano dalla semplice base di sussistenza come il fiore nell'aiuo la da quelli di campo. È evidente che occorre una luce artificiale per ottene re questo effetto. La scelta cadrà quindi su donne che hanno qui il loro terreno e la loro forza: è sempre a don ne di tal genere che mezzi spirituali e, per quanto possi bile, anche materiali debbono venir conferiti a salva guardia di una squisita socievolezza. Già solo per questo il salotto doveva giocare un gran de ruolo nella vita di Rivarol, che era impensabile senza una conversazione continua e senza lo svolgimento e la formulazione delle idee attraverso la conversazione. Il salotto è il regno della donna, che in esso domina e dà il tono. Nei decenni che precedono la Rivoluzione l'influs so del salotto sulla formazione delle opinioni e sullo svi luppo di talenti e caratteri cresce incessantemente. Pos siamo considerarlo uno dei frutti maturi della civiltà: vi sono epoche in cui esso non è ancora possibile, altre in cui non lo è più. Poiché è la donna che vi domina, attra L'influsso dei salotti sugli sviluppi politici resta più ano nimo, ma non meno efficace, di quello delle corti o dei governi e anche dei parlamenti. La conversazione è un intreccio, una creazione comune: la paternità di un nuo vo pensiero, di una formulazione calzante è tanto più in certa quanto più entusiasmante è l'effetto che produce. In realtà, specie in una situazione tesa, certe trovate, cer te osservazioni si propagano per vie sconosciute come faville in una miccia. E questo il tempo delle parole che vengono sussurrate all'orecchio e degli scritti diffusi di nascosto, e in cui si conferisce alla paternità di uno scherzo valore tanto minore quanto più efficacemente esso mette i puntini sulle i. Per questo la parola diventa preziosa: con essa si gioca a costo della vita. Tutto ciò si dimentica in tempi di sicurezza e qui risiede un pericolo per lo stile. Le unghie si spuntano. « La fraternità o la morte »: questa espressione deve essere stata usata per la prima volta da Rivaro!. Essa non riguarda soltanto il 1792 ma una situazione che sempre si ripresenta. Non la si può esprimere con maggiore con cisione. Dove l'entusiasmo di grandi masse popolari cre sce smisuratamente, esso conduce allo spargimento di sangue. Sotto il fragore di un giubilo, che non ogni seco 18 19 verso la parità dei diritti ella viene defraudata di questa forma della sua azione. Per partecipare alla formazione delle opinioni, la donna viene introdotta in quelle asso ciazioni il cui modello è il club e dove il pensiero ma schile detta le regole del gioco. Ciò non significa che ella diventi necessariamente intellettuale e pedante. Piutto sto, si profila un tipo che attraverso la spiritualità diven ta più desiderabile. 5 In questo ambito sia concesso di toccare la questione se Rivarol possa essere definito un dandy, ordine nel quale lo annoverava già Barbey d'Aurevilly. Ma se d'Aurevilly nel suo scritto su Brummel contrappone a questi, che nient'altro era che un dandy, figure come il duca di Ri chelieu o Lord Byron che, oltre a dò, si dedicavano ad altre occupazioni, Rivarol deve essere collocato dalla lo ro parte. D'Aurevilly afferma che in costoro la sodetà al lenta le briglie per un attimo, mentre in Brummel rumi na annoiata alla stanga. Egli dice inoltre: « se si tralascia il dandy, cosa resta di Brummel? » Al contrario, in Riva rol si andrà a urtare su un fondo che si nasconde sotto il modello della sua esistenza personale. Egli compie una missione. Otto Mann ha fornitQ una spiegazione convincente del problema, nella sua ricerca Der moderne Dandy, comparsa nel 1925. Qui egli raffigura il dandy come un tipo estetico tardo, all'interno di una società che si va facendo livellata e materialistica, e con la quale è in con trasto. Ma poiché è egli stesso lontano da un'autentica ricchezza interiore, si sente obbligato a realizzare l'esi genza di un ordine gerarchico sul piano formale. Di conseguenza, ricerca una valorizzazione nell'apparenza, anzitutto nella propria, che diviene opera d'arte. Inevi tabilmente, il significato di quel che l'uomo è si sposta su quel che egli rappresenta, e con dò devono accre scersi gli elementi puramente estetici della vita e del suo corredo. Come tappa, come terreno di gioco che precede gli obiettivi veri e propri, il dandismo ha avuto un ruolo in molte. biografie. Ben prima che si conoscesse questo no me, giovani di tutte le società e di tutte le culture hanno perduto in sciocchezze mesi e anni. del loro tempo: del resto, una delle spiegazioni etimologiche della parola dandy riconduce a questo verbo. 4 In questo non fanno eccezione sovrani come Davide, Cesare, Federico il Grande. Tutto rimaneva comunque un passaggio, un gioco, un preludio agli impegni veri e propri. Il dandy persiste in questo spazio preliminare, cosicché con l'età 20 21 lo conosce,si nascondono i richiami di animali predato ri. Subito, con le prime difficoltà, si fanno più distinti. Per questo non tutti si sentono bene nelle tempeste di affratellamento. I Prussiani hanno sempre avuto un orecchio fine al riguardo, anche agli inizi. «Qui sotto marcia la Rivoluzione », disse Federico Guglielmo III, quando la milizia territoriale sfilava cantando dinanzi a lui. Guglielmo I si irritò alla vista dei fiori nelle canne dei fucili, nel 1864 all'ingresso delle truppe vittoriose. 3 Non solo dalla sua opera ma anche da citazioni sparse in biografie e memorie si ricava che nei salotti parigini e, più tardi, come esule nelle case ospitali di Belgio, Olan da, Inghilterra e Germania, Rivarol ha avuto contatti personali con la gran parte dei suoi contemporanei di ri lievo. Molti erano incantati da lui e vi sono scintillanti descrizioni di questa impressione, come quella di Che nedollé. Burke lo definl il «Tacito della Rivoluzione francese» e Voltaire disse di lui:« C'est le Français par excellence ». Da altri sentiamo che essi non subirono il suo fascino; tra questi ci sono Chateaubriand e il Principe di Ligne, che era sorpreso dalla conversazione di Rivarol come da un fuoco d'artificio. Comunque non ci si può fidare troppo del giudizio di personaggi che erano abituati essi stessi a trovarsi al centro dell'attenzione. Quel che le bel le donne e gli scrittori dicono gli uni degli altri è per lo più sospetto. 6 assume un che di immaturo, di incompiuto. Ciò accade a Brummel, Puckler, Pelham. Nel Dorian Gray Wilde ne ha dato il modello letterario: la maschera dorata, immu tabile sopra il terrore del nulla. Sono queste le sponde in cui fiorisce il cinismo. Il dandy resta un pupo: nel suo caso, il termine può essere usato tanto nel senso di sta dio larvale quanto in quello di fantoccio. Per liberarlo da questo stadio deve comparire il dolore. Esso scalfisce la scrittura della vita. Il penitenziario ha fatto di Wilde il poeta del De Profundis. Se Rivarol è stato annoverato tra i dandy, si è giudica to dalle apparenze e si è tirata una conclusione affrettata dalla perfezione che egli ha in comune con quei tipi che compaiono nelle Memorie di Captain Gronow o nella History of White's di Bourke. Pertanto, se ci si sforza di andare al di là della superficie, si scoprirà non solo il co noscitore di una civiltà cresciuta, vecchia, ma anche il suo legittimo erede, il quale reca nel suo essere ciò che egli vuoI rappresentare. Il suo giudizio viene dal profon do, il suo metro riconduce all'incommensurato. Per que sto motivo egli è superiore allo spirito del tempo e al suo accecamento, e ben più del suo contemporaneo Robe spierre si sarebbe meritato il nome di « Incorruttibile ». Ne deriva che i discorsi e gli scritti degli uomini, che allora misero il mondo in movimento e lo orientarono in una direzione in cui ancor oggi ci muoviamo, sono di ventati insopportabili. Le Oeuvres Politiques di Saint Just sono diventate una fonte di noia e persino i discorsi dell'impetuoso Mirabeau hanno l'effetto di un sonnifero. Si sono consumati e ammortizzati nel dazio che hanno pagato all'epoca. La facilità con cui si sprigionano deva stanti uragani da parole, che assomigliano agli otri di Eolo pieni di vento, ha da sempre occupato e angustiato gli spiriti pensanti. Essa ha fatto sl che Eraclito parago nasse le lingue dei demagoghi a delle lame e ha condotto Li-Tai-Po alla domanda: Cos'è il poeta di fronte a colui che uccide mille uomini? In una figura simile, in un simile caso isolato si fa evi dente con quale lentezza il metallo puro venga dilavato dai vortici e dalle correnti di epoche movimentate. An che le parole hanno la loro valuta e il loro peso. Una giu sta misura dà loro lunga vita come alle vecchie e buone melodie, che sempre ritornano e rasserenano il cuore, per quanto siano state sovrastate anche dalle canzonette. Esse agiscono più a fondo che sulla passione. Come ogni autentica domanda, forse essa racchiude già in sé la risposta, come il frutto il nocciolo. La parola può uccidere, ma può anche donare la vita, e in questa sua facoltà è la parola poetica, creatrice. In quanto tale, essa è superiore all'epoca e, come uno scoglio, affiora sempre dai suoi gorghi e dalle sue maree. Tutto ciò vale anche per Rivarol e vi sono alcune sue parole per la cui comprensione solo oggi, intrisi di espe rienza, siamo maturi. In questo fatto vi è qualcosa di consolante. Negli anni passati, e non solo, ogni persona istruita si sarà sentita di tanto in tanto nella condizione di chi sta affogando, di chi viene sopraffatto dal timore di affondare nel mare del non senso. La fronte insolente dei demagoghi, che hanno conquistato il potere, è im passibile, il plauso illimitato. Dopo la guerra perduta lo spettacolo si capovolge. Tersite trionfa con una terribile bruttezza che spaventa anche il vincitore. Qui è consolante osservare che la moneta, che uno 22 23 7 spirito incorruttibile ha coniato in una situazione analo ga, ha conservato peso e valore al cambio dei tempi. 8 « Rivarol non appartiene al primo rango della nostra let teratura. Egli vi aspirava e aveva la capacità di raggiun gerlo ma nella sua piena evoluzione venne ostacolato dalla Rivoluzione e riso spinto a causa di questa sulla sce na politica. Morto prematuramente in esilio, all'età di quaranta sette anni, non ha raggiunto la sua misura com piuta. » . A questo giudizio, col quale Lescure apre la premessa alla sua edizione di Rivarol, non si può obiettare nulla. A ciò si aggiunga il fatto che i grandi lavori di Rivarol sono rimasti dei frammenti. Totto questo trova la sua spiega zione non solo nelle ingiustizie di un'epoca, che, d'altra parte, lo stimolò. Qui dobbiamo anche vedere il conver gere della sua già menzionata pigrizia e di un senso di responsabilità, che attesta e connota ogni autentico sfor zo rivolto alla parola. Il tendere verso una formulazione migliore, verso un'espressione più affilata consumò la gran parte del suo tempo. Ma il primo rango non viene raggiunto solo attraver so l'insieme, l'ampiezza di un corpo di opere. Come per sino i nostri autori più grandi restarono al di sotto di questa soglia in alcune parti della loro opera, allo stesso modo altri l'hanno raggiunta con delle prove, con degli acuti. Conosciamo degli autori che con poche pagine, anzi con una sola poesia, hanno sottratto il loro nome al l'oblio e lo hanno reso immortale. Così, finché vi sarà letteratura e una scala di valori letterari, anche Rivarol, con le sue massime, apparterrà a quelle schiere di esplo ratori e pittori del carattere umano che vengono definiti 24 moralisti e alla cui crescita è particolarmente favorevole lo spirito francese, grazie alle sue virtù di socievolezza. Cosi come sotto questo cielo soave certi frutti maturano sino alla più alta bontà, allo stesso modo, soprattutto dai tempi di Montaigne, qui prosperano anche quelle opere che sono dedicate all'intima conoscenza del cuore, dello spirito e del carattere umani, con i loro alti e bassi, con le loro virtù e i loro errori. Con questo contributo la Francia ha donato alla letteratura mondiale una serie di libri famosi, la cui lettura ci dà il piacere di « leggere nel cuore », di un gioioso conoscere e riconoscersi. Ora, quando inseriamo Rivarol in questa serie, non possiamo prescindere dalla sua epoca. Dobbiamo consi derare quel che era possibile alla fine del XVIII sec., in confronto ai due secoli precedenti. La società è diventa ta molto più sensibile, ha messo dei tralci molto più deli cati che al tempo in cui la ritraeva La Rochefoucauld. In molte cose essa è più raffinata e allo stesso tempo più in sicura. Nuove forze, che allentano gli antichi legami, vi si sono infiltrate e si è già arrivati al punto in cui esse, dalla teoria, dalla letteratura e dalla filosofia, fanno in gresso nella realtà politica. I cuori si sono fatti più sensi bili ma hanno anche perduto quel tratto forte, cavallere sco che ravviva le massime di Vauvenargues o l'audacia di Pascal, che risveglia nel credente la vicina esperienza di crudeli persecuzioni. Tuttavia, l'audacia non è venuta meno nei singoli: come le lame, essa è diventata più fles sibile e si avvicinano degli anni in cui certo ve ne sarà bi sogno. Chateaubriand, che guarda dalla finestra della sua abitazione, vivrà presto il momento in cui, conficca ta in una picca, una testa tagliata gli sfilerà davanti. Egli non si ritrarrà. Gli anni prima della tempesta sono memorabili in vir tù di una particolare apertura mentale. Non solo le por te dei salotti sono spalancate: anche nei cuori e nelle te 25 ste entrano nuove sensazioni e nuovi pensieri. Nella coe sistenza, nello scambio e nella conversazione si osserva quel che si incontrerà di li a poco nello scontro e nel di battito mortale. Le « Nozze di Figaro» vennero rappre sentate nel 1784, e proprio su iniziativa della Corte. Ri varol sedeva accanto all'autore e siè conservata la battu ta sarcastica che gli dispensò. Attraverso questa liberalità la società, che T allemant des Réaux ritrae nella pienezza dei suoi originari tratti feudali e che in Saint-Simon si leviga e si raffina nelle corti, si mostra ampliata e ravvivata da varie luci, che non sono solo quelle dell'Illuminismo. Essa è incline a ogni novità, benché si mantenga ancora nella vecchia cornice. Non sembra ancora impossibile che questa so cietà riesca ad accogliere il Nuovo e sappia servirsene per rafforzarsi. Cosl, con delle saracinesche e delle di ghe, si raggiunge un livello d'acqua che poi si alzerà fino alla rottura degli argini. A tali considerazioni era particolarmente adatto uno spirito come quello di Rivarol: aveva a sua disposizione i mezzi e anche l'espressione. La bilancia è per lui un sim bolo e quindi il significato originario della giustizia. Questo significato plasma il mezzo, la lingua anzitutto, cui egli conferisce armonia. Quel che dapprima sbalor disce per leggerezza, equilibrio ed eleganza, sfiorando spesso il virtuosismo, arriva tuttavia più in profondità, riposa su un autentico dono per la scoperta della verità, sulla forza del giudizio. 9 Per questo motivo, sia qui detto in breve, Rivarol non può essere annoverato neanche tra i Romantici. I suoi giudizi non hanno niente da spartire con quell'aspetto 26 avvocatizio che contraddistingue il Romantico. Costui si batte per una cosa perduta e ne vuole la restaurazione: sia come artista, sia come politico, egli sta « fuori» dal tempo come dallo spazio. n suo punto di vista è quello dell'esautorato, con pretese sacerdotali o aristocratiche. In rapporto ai suoi fini, il Romantico si trova nella condi zione del Paradiso perduto, che nel migliore dei casi egli scorge ancora oltre il muro, e per lui non vi è prova più dura della realizzazione di tale stato. Poiché la perdita ha luogo nell'essere, questi non può essere salvato con mez zi politici. Ciò non esclude una superiorità spirituale. Rivarol non si lascia portare sotto questo denomina tore neanche durante l'emigrazione, che è considerata una serra delle idee romantiche. In lui non troviamo la « disposizione di spirito », il Medioevo trasfigurato e il Cristianesimo risolto in sensibilità bella. La sua espres sione è meditata fin nella ramificazione più sottile. Per questo, nel giudicare la situazione, egli resta più sicuro e più distante dalla tracotanza di quanto non sia Cha teaubriand, il quale reagisce senza freni al clima politico e alle sue fluttuazioni. Rivarol non fu vittima di quell'er rore, cui il carattere umano è fin troppo incline e che consiste nello scambiare la superbia con la forza: non vi è stato alcun periodo della sua vita in cui lo si sia potu to definire un « ultra ». Già il suo gusto spiccato gli vie tava gli estremi: egli assomiglia al tiratore che vuoI col pire il centro della sagoma. Fu uno dei primi a pro nunciarsi contro l'inopportuno manifesto del Duca di Brunswick. Rivarol non è un Romantico, poiché nella sua interio rità, nella sua coscienza, non si è verificato quel taglio netto che separa in modo nuovo passato e presente e in terrompe la tradizione in una maniera che viene sentita in parte come liberazione, in parte come perdita. Perciò, nel bel mezzo del gorgo egli può elaborare, con disinvol 27 tura e acutezza, dei pensieri sull'ordine che sta alla base della scena politica e dei suoi cambiamenti. È caratteristico suo questo movimento lungo la linea del buonsenso, che rinuncia agli accessori mistici. Si en tra con lui in uno spazio chiaro, in cui le misure comba ciano e mancano cripte e cappelle laterali. Da cosa dipende il fatto che di fronte all'uso del ter mine « conservatore» si avvertono ostacoli cosl forti e che tutto questo avviene in un'epoca che, come nessu n'altra, avrebbe bisogno di preservazione e protezione? Se si prescinde dai nudi interessi, di ciò vanno incolpati gli influssi romantici che sin dall'inizio si sono mescolati a questo termine, influssi che, riposando sul sentimento della perdita, hanno ripercussioni negative. Essi non possono reggere né alla luce della critica né alla lotta per il potere. Il vero conservatore è colui che meno si dà al romanticismo, anzi, al sentimento stesso, e neanche ne ha bisogno. Il « res, non verba » è per lui legge. Gli avversari, che nuotano con la corrente, sono di gran lunga più disinvolti. Invano, quando Rivarol onora uo mini e azioni, si cercherà l'incenso che, ad esempio, Mi chelet spande nella descrizione del 14 luglio. Egli appar tiene a quegli autori che sono letti ancor oggi con pro fitto da tutti coloro che nelle idee conservatrici cercano di separare ciò che è durevole da ciò che è superfluo e dannoso. Le massime di Rivarol sono le sigle o anche i semi della sua opera: qui troviamo condensato tutto ciò di cui egli si è occupato in extenso. In queste massime la sua penna si avvicina al suo punto di forza, la conversazione. Esse non sono state pubblicate in questa forma durante la sua vita ma sono il risultato di una selezione postuma. Come in uno specchio rotondo, levigato, vediamo la figura spi rituale e le sue inclinazioni A queste appartiene anzitutto la lingua, .che per lui si gnifica più che uno strumento di lavoro. Egli fa parte dei pensatori che da questa prendono le mosse e per i quali la parola sta all'inizio. Per tutta la sua vita egli si è occupato della lingua e a questa occupazione deve anche il suo primo grande successo. Nel 1783 vinse il premio . che l'Accademia delle Scienze di Berlino aveva messo in palio per la risposta alla domanda su come debba essere spiegata l'universalità della lingua francese. Il lavoro con cui si presentò gli guadagnò non solo il premio ma an che l'ingresso nell' Accademia, una lettera di complimen ti da parte di Federico il Grande, la corrispondenza con numerosi dotti europei e una pensione che gli conferi Luigi XVI. Improvvisamente divenne famoso. Anche la sua ultima opera, l'ampia prefazione al pre visto Nouveau Dictionnaire de la Langue Française, di cui si occupò negli anni del suo esilio ad Amburgo, è dedi cata alla lingua: è una miniera di acute osservazioni. Questo dizionario non andò oltre una raccolta di mate riali e la prima metà, invero c~spicua, dell'Introduzione. Non sarebbe stato ultimato neppure se Rivarol fosse vis suto più a lungo, poiché fa parte di quelle opere i cui ab bozzi si profilano in una mente vivace e la cui realizza zione richiede tuttavia più la ferrea assiduità di un Du Cange che uno spirito che vive di ozio e per l'ozio. Riva rol progettò un contraltare all' Enciclopedia basato sulla lingua. Era questa un'impresa che non poteva essere af fidata a una squadra di cervelli, come accadde per l'En ciclopedia di D'Alembert. L'ingresso nell'arsenale intimo della lingua riesce solo ai singoli, diversamente che per un progetto logico, fisico, cui sono utili la divisione del lavoro e l'impiego di mezzi matematici e persino mecca 28 29 10 nici. Questa è da sempre una differenza fondamentale tra un'opera banausica e un'opera d'ispirazione. Peral tro, nella sua Introduzione al Dizionario tedesco, Jacob Grimm definisce anche la collaborazione con il fratello diletto come un pericolo per l'unitarietà dell'opera. Per questo, l'intenzione di Rivarol di affrontare da solo l'al fabeto era giusta in linea di principio, sebbene destinata al fallimento in fase di esecuzione. II suo rapporto con la lingua è quello di un artista, non di un uomo di scienza, anche se si è occupato con acribia di Condillac e di altri predecessori. In generale, si può ricavare il suo rango di autore dalla misura in cui resta indipendente dalle scienze. Egli vive immediata mente della sovrabbondanza del mondo. Per questo, la trasformazione e la conservazione del mondo ad opera della poesia sono infinitamente superiori a quelle opera te dalle scienze, le quali seguono la poesia da lontano. La poesia sta nel mutamento e non pertiene al progres so, che come Saturno divora teorie e invenzioni. I dettagli del Discours préliminaire hanno spesso per noi un interesse soltanto storico: diverso è il caso con le decisioni fondamentali che vi stanno dietro. Esse riguar dano in primo luogo l'origine del linguaggio, che incita in effetti a una decisione, visto che nessuna ricerca la scandaglierà mai. Con questa grande questione ci si comporta come con la libertà del volere o l'origine della vita: esse rimangono necessariamente delle questioni controverse. Più una mente è limitata, tanto meglio ne viene a capo. Vi sono dei problemi che si pongono solo con un certo grado di intelligenza. Non vi arrechiamo mai un lume ultimo ma ci illuminiamo attraverso le no stre risposte. In questo punto Rivarol si rivela un artista, un uomo creativo, in quanto egli pone l'accento sullo spirito della lingua, l'origine spirituale, le génie de la langue. Vatto creativo è per lui al primo posto, indipendente, benché non si debba escludere uno sviluppo di suoni e segni animali grazie a convenzioni umane. Lo sviluppo resta dipendente dal tempo e dalle sue casualità: l'intuizione sta al di fuori del tempo. Questa sfera è inaccessibile alla massa dei parlanti, benché costoro vivano di essa: il poe ta tuttavia vi si introduce e la lingua si avviva di nuovo. Qui Rivarol si incontra con Hamann, che definisce la poesia la madrelingua del genere umano. Lo precedeva Rousseau, con il suo Essay sur l'origine des langues, poi ché egli spiega il linguaggio non a partire dal bisogno ma dalla passione. Per questo la lingua parlata sarebbe più forte di quella scritta: la lingua di Omero è il canto. Nel corso del tempo le lingue perdono in forza e acquistano in chiarezza. Riguardo al progetto leibniziano di una lingua univer sale, Rivarol è dell'opinione che questa si limiti al biso gno mentre lo spirito della lingua prospera solo nella lin gua madre, alla quale non si potrebbe rinunciare. Anche qui gli manca il tratto imperialistico. Ci si deve compor tare come in un viaggio, allorché si fa il giro delle più belle lingue nazionali e ci si fonda sulla propria. Vi è un'intima armonia tra la lingua e il parlante che si può conseguire solo nella lingua madre. Le grandi lingue na zionali aspirano alla lingua universale: in questo senso essa è ideale. Nella prassi vi sono sempre state delle lin gue universali: il latino come lingua dei dotti, il francese come lingua diplomatica, l'inglese nell'uso corrente. Og gi disponiamo di un apparato di espressioni tecniche, che hanno diffusione mondiale e alle quali il greco ha molto contribuito. Si annuncia anche una lingua per im magini, non solo nei segnali per il traffico. Vi è un pri mato di segni e simboli, che sono diventati universal· mente comprensibili attraverso processi planetari: il commercio, le guerre, le prigionie, le sequenze d'imma 30 31 gini e i film. La poesia, al contrario, prospera solo nella madrelingua, poiché solo in essa lo spirito della lingua è a casa. La simpatia con cui venne accolto in tutta Europa lo scritto di Rivarol è dovuta al misurato distacco che lo contraddistingue. Egli magnifica la clarté come un privi legio particolare della sua lingua madre e la considera non come perfezione matematica ma come un tratto pe culiare del suo carattere, riconoscendola allo stesso tem po come una debolezza, che va controbilanciata attraver so il talento. Questa clarté è anche il vertice rispetto a cui va giudicata la forza e la concisione della prosa di Riva rol, con la riserva che nella concisione vi è anche la forza. La lingua ha per lui il carattere della luce, anche se, simile in questo a Diderot, egli non fa parte di quei latini per i quali il mondo dei loro geroglifici è un mondo intera mente chiuso. Egli non respinge, come Marmontel, lo « style imagé » ma sottolinea espressamente: « le style fi guré est toujours le plus clair et le plus fort ». Si osserverà anchè che l'immagine viene privilegiata da quegli spiriti che danno valore a ciò che è proprio e peculiare. A que sto riguardo, vi sono due grandi schieramenti che si indi viduano nello stile e che sono più nettamente separati di quelli politici. «Un'idea appartiene al mondo intero, un'immagine a te solo. » Questo motto,' indirizzato da]u les Renard contro Barrès, si può leggere nei due sensi. Si considerino invece le immagini di Rivarol e il fatto che la loro fonte è sgorgata dalla luce. Esse non sono im merse nell'acqua del mondo sotterraneo. Sono precise, univoche, colgono nel segno. Non sorgono, come in Eraclito, da occulte fontane. Per quanto attiene alla vena profonda del linguaggio, Rivarol non può essere perciò evocato accanto ai suoi contemporanei tedeschi come Herder e Hamann. Non di rado, sono i medesimi gli og getti cui Hamann e Rivarol dedicano un aforisma. Ma: .32 « le verità sono metalli che' crescono sottoterra » - que sto Rivarol non avrebbe potuto dirlo. Gli manca la for za cieca, spermatica. Tutto ciò è eracliteo, e corrisponde al detto: «vale l'armonia invisibile ». Qui si arriva ai profeti. Vi sono dei critici che hanno rimproverato a Rivarol la limitazione razionale delle sue immagini. Ma ciò si gnifica comparare l'incomparabile e lamentare mancan ze nell'oggetto sbagliato; è un po' come biasimare l'uc cello perché non ha le pinne. Al contrario, si deve sot tolineare che Rivarol, con le sue peculiarità, era attrez zato in maniera ottimale per il suo ambiente. Tra i suoi pensieri preferiti vi è la corrispondenza di forza e stru mento e a questo riguardo bisogna dire che lo strumen to spirituale, di cui egli disponeva, era all'altezza delle forze che l'epoca sprigionò. Esse fornivano acqua al suo mulino e su questo si fonda la sua influenza, la cui in tensità immediata è confermata da una durata non infe riore. Egli non appartiene, come ad esempio Fechner, a quegli spiriti pur notevoli che parlano al loro tempo senza riscontro. Per poter apprezzare un autore nella sua peculiarità, ci si debbono accollare certi suoi giudizi. È questo un principio contro il quale si va a urtare quasi sempre. Co me, secondo il vecchio proverbio, « non il giuramento garantisce per l'uomo ma l'uomo per il giuramento », co sì l'uomo garantisce anche per i suoi giudizi. Se li sepa riamo da lui, conserviamo un fascio di opinioni. È que sta una cosa usuale in un'epoca in cui tutto e niente è si gnificativo. Ma l'avere un centro di gravità comporta al leggerimenti in altri punti. Così, Rivarol doveva essere sensibile a Dante, che ha tradotto per i suoi connaziona li, e non invece a Shakespeare. Nelle note al suo Di scours egli dice che, per avere un'idea di Shakespeare, si debbono mescolare ai grandi personaggi del Cinna a1cu .3.3 ni pastori, pescatori e dei rozzi contadini. «Se si trala sciano i passi sublimi e si distrugge l'unità di tempo, di luogo e d'azione si ottiene la più bella opera di Shake speare. » Questo è il giudizio di un uomo che chiude la sua porta. E questo fatto è più significativo del giudizio stes so. La shakespearomania, come la defini Grabbe, era una delle forze che facevano saltare le porte. Rispetto al l'anglomani a aristocratica del Palais-Royal, essa operò in verità più anonimamente ma in maniera più incisiva e più profonda. La partecipazione straordinaria di Lenz e Klinger a Weimar dà prova di questo gusto. Una figura come Danton entrò non solo politicamente in società ma anche, più durevolmente, nel repertorio teatrale. Del ruolo che giocava il teatro, a malapena abbiamo ancora un'idea. Esso poteva sprigionare una potenza che forzava lo spazio, e che, tra le arti odierne, forse solo la pittura può esprimere: essa influisce però su cerchie molto più ristrette. Ciò che veniva rappresentato non di pendeva in nessun modo da semplici questioni di gusto. In certe rappresentazioni, si potevano davvero sentire le volte creparsi. Lo Sturm und Drang non poteva essere per Rivarol nient'altro che una rozza forza elementare che si orienta secondo un impulso sfrenato. La tempesta, che in Sha kespeare gioca un ruolo cosi grande, aveva per lui signi ficato solo in rapporto ai mulini a vento, non perché egli fosse uno spirito interessato all'economia ma perché era uno spirito controllato. In lui l'attitudine politica ha una portata sostanziale e per questo i suoi giudizi politici coincidono con quelli morali ed estetici. 34 11 La pubblicazione dell'opera premiata era stata precedu ta da una serie di critiche letterarie che si possono con siderare come note a margine delle sue due principali occupazioni in questi anni: la lettura e la conversazio ne. Anche questa attività caratterizza tutta la sua vita. Essa trovò il suo coronamento provvisorio nel Piccolo Almanacco dei nostri grandi uomini e fu proseguita nel Piccolo Almanacco dei grandi uomini della Rivoluzione e nella Galleria degli Stati generali - in parte attraverso un lavoro anonimo, che rivela inequivocabilmente la sua mano. Gli almanacchi costituiscono una specie di «Xe nien », nient'affatto clementi: ' furono la ragione più du revole della cattiva fama di Rivaro!. Quel che si dice sulla persona suscita dei vespai ben diversi da quelli che pro voca un argomento oggettivo. Qui Rivarol provò il taglio delle sue battute su tutti coloro di cui non condivideva lo stile o la politica: tra questi Chamfort, Mirabeau, Nec ker, Lafayette, Joseph Chenier, La Harpe, l'Abbè Delisle e Madame de Genlis, oltre a una quantità di autori che sono diventati ignoti o che già allora lo erano. L'Almanacco dei grandi uomini è ordinato alfabetica mente e a questo riguardo Rivarol osserva che esso è de stinato ad essere sfogliato per consultazione, visto che anche i lessici non si leggono d'un fiato. Inoltre, chi vi si arrischiasse, dovrebbe subire una quantità di brani che non dicono niente. A dire il vero, aggiunge Rivarol, pro prio questi contengono i ritratti più fedeli. « Roudier. Di lui non si può certo osservare alcunché di lodevole. È duro essere condannati a una tale oscurità presso i contemporanei. Cosa sarà di tutti questi nomi tra qualche secolo? » 35 « Chas. I suoi pezzettini si trovano in tutti i giornali e la loro quantità ha già reso necessaria una raccolta. » « Duclos de Longwi. Poète breton qui jait des envois à Paris. » « Planchet. Questo autore deve essere straordinaria mente conosciuto presso alcune persone in virtù di un racconto indiano che non ci è riuscito di trovare. » Cose del genere non si ascoltano volentieri o si ascol tano volentieri solo degli altri. Si ha l'impressione che Rivarol, per affilare la sua penna, abbia concesso all'iro nia, un vizio nazionale francese, molto più del lecito. Da qui vennero i bonmot in circolazione. Con queste parole egli salutò l'accademico Florian, che camminava davanti a lui e nella cui tasca vide un manoscritto: « con quanta facilità potrebbe derubarla chi non La conosce! » Tutto ciò gli procurava delle amarezze letterarie. Bi sogna considerare che molte delle persone da lui ritratte acquistarono potere politico allorché si affermarono co me giacobini. Ci sovviene di nuovo, frattanto, che in tempi simili si rischiava la testa anche per scherzi più in nocenti. Possiamo quindi apprezzare anche il fatto che Riva rol, privo di illusioni e combattendo una battaglia già perduta, rimase a Parigi fino all'ultimo. Egli abbandonò la città solo ilIO giugno 1792, alcuni giorni prima che la plebe dei sobborghi facesse irruzione nelle Tuiléries e mettesse al re il berretto rosso. Poco prima Rivarol aveva indirizzato all'intendente del re un'ultima memoria: « Sull'orlo del vulcano ». Poche settimane dopo, La Por te sall sul patibolo, assieme ad alcuni amici di Rivaro!. In effetti, era l'ultimo momento per abbandonare dalla por ta di servizio una casa, al cui portale gli uomini del Ter rore bussarono di Il a poco: «Dov'è, dov'è il grand'uo mo? Lo vogliamo accorciare un po' ». Diversamente da molti dei suoi compagni di sventura, 36 Rivarol non ha fatto di necessità virtù e non ha propa gandato l'emigrazione come il mezzo più efficace. Per lui non era questione di esitazione ma di tragica scelta. Egli la rinviò a lungo, poiché in essa vedeva piuttosto il mezzo meno efficace. Soprattutto, egli non cadde nel l'errore di Coriolano: lasciare che la patria scontasse ciò che lo spirito di parte aveva provocato. 12 « La politica è tutto », disse Rivarol a Chenedollé in una delle sue conversazioni amburghesi. Tutto questo ricor da il detto di Napoleone: «( la politica è il destino ». Cio nonostante, è difficile precisare la visione politica di Ri varol, poiché, nelle stratificazioni annuali in cui si for mò, non è priva di contraddizioni. Le circostanze fecero si che essa si sviluppasse in maniera tanto induttiva quanto deduttiva; induttiva, in quanto egli segui e giudi cò attentamente la Rivoluzione sin dai suoi inizi; dedut tiva, in quanto si accinse a elaborare sempre di nuovo una teoria, un sistema dell'arte di governare. Nessuna delle due tendenze giunse a compimento, poiché Rivarol non visse la fine della Rivoluzione né conchiuse definiti vamente il suo sistema. Il formarsi dell'opinione per strati e contraccolpi ap partiene ai tratti caratteristici di tempi in cui si infrange una diga dopo l'altra. Lo troviamo anche in Chateau briand e persino in un pensatore sistematico come Sieyès. Tutto ciò si prolunga sin nella prima metà del XIX sec.; esempi tipici sono Garres, il cui viso da vecchio si segnalava come un campo di battaglia delle idee, e maestri della conversione repentina come l'abate La mennais. Altri tempi e paesi erano più favorevoli alla crescita 37 delle idee. Prima di scrivere lo Spirito dette leggi, Monte squieu, cui Rivarol deve molto, poté raccogliere materia li nei paesi d'Europa nel corso di viaggi che durarono anni. A Burke tornò utile la posizione isolana: l'Inghil terra fu sempre un classico punto di osservazione per lo spirito contemplativo. Secondo l'antica regola, ora supe rata, nella sua politica essa dovrebbe essere l'avversaria della seconda potenza marinara. Tutto questo sarebbe una conseguenza della sua posizione esterna: molto più profondamente, e cioè nel carattere, si radica un atteg giamento che la contrapporrà sempre alla più grande potenza rivoluzionaria. Perseguendo questa linea, l'In ghilterra andrà contro persino al suo interesse manife sto. A questo carattere che la porta a resistere alla poten za deI momento si deve il fatto che essa conduce le guer re temporeggiando e affidandosi alla durata. Questo è un tratto conservatore. In fondo, Rivarol è rimasto fedele a se stesso, nono stante l'epoca e i suoi torbidi, anche quando mutò le proprie vedute sulla prassi. Scarti repentini ed eccessi erano lontani dall'armonia del suo carattere, anche lad dove nei suoi scritti si osserva un lavoro di serra. La na tura di questo lavoro faceva sl che egli si rivolgesse lar gamente alle riviste, che allora fiorivano in gran numero. Ciò vale anzitutto per il Journal po/itique national, che iniziò a uscire il 12 giugno 1789, e per i famosi Actes des Apotres, in cui gli uomini della Rivoluzione si presenta no come gli apostoli di una nuova religione. Dal primo giorno, con decisione, Rivarol prese partito contro la Ri voluzione. Oggi, solo con uno stupore retrospettivo si possono prendere in mano gli Actes des Apotres, che uscirono in quattro annate, sino a poco prima della fuga di Rivaro1. La terza annata, pubblicata A Pans, t'an de t'anarchie 1", si apre con una « descrizione comparativa », in cui viene 38 tracciata la storia dell'infelice Carlo I -d'Inghilterra. « La regina, bersaglio d'offese e persecuzioni, faceva prepara tivi per fuggire nel continente. » Il LXI numero è dedica to alla prima seduta del Club dei Giacobini: l'entusia smo era enorme « ma l'estasi è notoriamente un nemico del ricordo ». Simili arditezze paiono al lettore successivo ancora più stupefacenti che ai contemporanei, poiché nello sguardo a ritroso l'immagine della Rivoluzione si con densa e perde i toni intermedi. Ma noi, oggi, sappiamo che processi come le rivoluzioni non si danno cos1 mas sicciamente e che restano sempre delle lacune, delle iso le in cui più o meno si gode di sicurezza o quantomeno dell'illusione della sicurezza. Vi sono dei singoli che per un certo periodo garantiscono protezione, vi sono case e circoli in cui si è al sicuro e vi è quell'illusione diffusa che, dall'assurdità degli eventi rivoluzionari, deduce una loro breve durata. Non può andare, dice il sano buon senso. Esso giudica con esattezza ma con troppo ottimi smo, poiché è singolare quanto a lungo possa mantener si una situazione insostenibile. Di questo stato d'animo, con le sue speranze e le sue voci, si nutrono gli scontenti e i perseguitati in cerchie più o meno visibili, vivono ri viste, locali e persino cabarets. A ciò si aggiunge il fat to che certi intrighi non sono sgraditi ai detentori del potere ovvero che essi temono meno questi dell'anonimo silenzio, che diventa inquietante. Essi facilitano il lavo ro della polizia. Rivarol racconta che essa aveva intro dotto clandestinamente dei provocatori in uno dei locali da lui frequentati, il « Caveau ». All'epilogo della sua vi ta, Goebbels disse dei massacri del 1934 che di tanto in tanto si debbono stanare i topi dai loro buchi. Le rivoluzioni si sviluppano non in maniera logico costruttiva ma secondo il tipo dei processi organici, in cui la testa ha una parte inferiore a quella del sistema ve 39 getativo. Esse hanno i loro « giorni », i loro spasmi e le loro spinte, provocati più da scatti contingenti che da un piano: un'oscura diceria, il panico, una zuffa per strada, dispute al mercato, un attentato. In mezzo e anche ac canto a tutto ciò, in altri quartieri, la vita continua: la posta viene distribuita, si va al caffè come sempre. La notizia dell'assalto alla Bastiglia arriva a Versailles solo la sera: il re la prende come una semplice rivolta. Il com portamento della Corte dal 14 luglio a quel 5 ottobre, mentre Luigi XVI si trattiene a caccia nella foresta di Meudon, è pieno di illusioni. La cosa inquietante in tut to ciò è la forza del destino. Michelet la ascrive al genio del popolo. Machiavelli dice: « ... quando voglia la for tuna condurre grandi rovine, ella vi prepone uomini che aiutino quella rovina. E se qualcuno fusse che vi potesse ostare, o la lo ammazza o la lo priva di tutte le facultà da potere operare alcuno bene ».6 Certo, tutto questo colpisce nel segno. La carriera di Mirabeau aveva raggiunto probabilmente la sua fine an che senza la malattia. Tantissimi cervelli, spesso come in uno stato febbrile, hanno riflettuto su ogni particolare di quei giorni che per tutti noi sono diventati un destino. Che cosa ha fatto La Fayette e che cosa avrebbe dovuto fare in quella grigia giornata di ottobre? La riflessione nasce insieme agli eventi e a questi si congiunge negli opuscoli, nei giornali e nei memoriali, nelle lettere al re, all'Assemblea nazionale, a Mirabeau e Necker, come an che Rivarol ne scrisse. Ma vi sono tempi in cui nessuno può opporsi alla corrente senza cadere. Sono gli stessi tempi in cui è considerato un delitto il non essere appas sionati. Tuttavia, troveremo sempre delle menti che si distin guono per un chiaro giudizio della situazione. Rivarol ne è un esempio eccellente. Il cieco entusiasmo era contra rio al suo carattere ed egli non poteva scorgere la ragio 40 nevolezza o la moralità di un'azione nel fatto che la mag gioranza o addirittura tutti la ammettessero. Egli ritene va decisivo il sano buonsenso e tuttavia non come una dote universale ma come una rara eccezione, un po' co me il perfetto equilibrio che viene raggiunto dalla bilan cia solo di rado. Nonostante i disordini, gli ultimi anni parigini gli furono di grande giovamento. Un teoreta che non abbia conoscenza dei casi di emergenza assomiglia a un maestro di scherma che ha sempre combattuto nella bambagia. Un Clausewitz senza l'esperienza del campo di battaglia è altrettanto impensabile di un Machiavelli che non abbia vissuto e patito i disordini fiorentini. L'os servazione della guerra civile dal punto di vista dell'emi grazione conduce necessariamente a giudizi erronei, co me quelli che Rivarol, divertito, vedrà illustrati nella conversazione di due arcivescovi fuggiti a Bruxelles. Al contrario, il suo resoconto dei primi sei mesi di Ri voluzione nel Journal politique national è quello di un te stimone oculare che cerca di formulare dei giudizi misu rati. Il loro valore si può già ricavare dal fatto che Burke li utilizzò come una delle sue fonti principali, tanto per i dati quanto per gli argomenti. Negli Actes des Apotres la polemica assunse poi forme di guerriglia. Sopraggiunse la visione dei misfatti: essa ha inasprito il giudizio di molti spiriti europei e cosl anche quello di Rivaro!. La sua posizione in questi anni può essere ricavata, con Le scure, dal fatto che egli era il difensore in extremis del re. Solo quando il re venne esautorato, pensò alla sua si curezza. A Bruxelles, la sua prima tappa all'estero, egli inaugu ra la sua attività letteraria con una Lettera alla nobiltà francese, che doveva mitigare l'impressione suscitata dal manifesto del Duca di Brunswick. Nonostante l'inquie tudine e le relazioni sociali intrattenute negli anni a seguire, Rivarol è occupato permanentemente da due 41 grandi progetti: il suo dizionario e la sua teoria dell'arte di governo, in cui egli intende risalire «alle fonti dei prindpi ». Entrambi, come si è detto, ci sono noti solo attraverso dei frammenti, che tuttora testimoniano a suf ficienza la configurazione spirituale dell'autore. D'altronde, non si può dire che su di lui si sia forma to un giudizio consolidato. Ciò dipende tanto dalla va rietà dei punti di vista quanto anche dalle contraddizioni all'interno dell'opera; soprattutto, pero, dal fatto che i grandi conflitti, di cui si è occupato Rivarol, sono ancora dolorosi, ancora brucianti. Non possiamo considerarli con la necessaria tranquillità e come qualcosa di com piuto: sempre si insinua lo spirito di parte. Il confronto con e su Rivarol riempie una piccola biblioteca. Spesso, studiandola, si ha l'impressione che la foresta sia nasco sta dagli alberi. La peculiarità delle idee di Rivarol non risiede nella loro novità o nel fatto che vengono proposte soluzioni sorprendenti. Queste sono piuttosto le idee dell'europeo colto del suo tempo. In molte delle menti migliori dell'e poca, in molti dei suoi spiriti responsabili, troviamo, co me in Rivarol, il desiderio di conservare il legame con il passato e di continuare a costruire sui canovacci della vecchia civiltà. Questo desiderio si fa più vivo con lo svi luppo delle forze rivoluzionarie e alla vista degli eventi parigini. Qui si annuncia un turbine che pare condurre a un'assenza di misura, forse alla barbarie. La concentra zione è cosl forte che sono da prevedere grandi esplosio ni, grandi distruzioni. Le guerre nazionali allungano già la loro ombra. In questa confusione della catastrofe ma anche della rinascita, in cui idee teologiche, filosofiche, nazionali, sociali, romantiche si liberano e cercano di edificarsi in sistemi, l'atteggiamento classico è quello che può contare in minima parte su una partecipazione pas sionale. Nella sua aspirazione a mantenere in equilibrio 42 vincoli e libertà, esso deve urtare sulla Destra come sulla Sinistra. A questo riguardo, non gli manca un proprio spazio di espansione, se si pensa a un'impresa azzardata come le Idee per un saggio volto a determinare i limiti dell'attività dello Stato di Wilhelm von Humboldt. Cer to, è comune a tutti il punto di vista di Goethe, secondo cui solo una « cultura formatasi nella tranquillità» può portare le nazioni alla piena maturità. Ma quanto sia dif ficile proporre una massima cosi semplice, anche quan do si gode della più alta considerazione, lo dimostrano gli attacchi a Goethe in cui gareggiano liberali e naziona listi. Sin dall'inizio egli venne guardato con sospetto, e lo è ancor oggi. In un altro punto Goethe afferma: «è dif ficile rassegnarsi agli errori dell'epoca: se li si contrasta, si resta soli, se ci si lascia prendere, non se ne ricava né onore né gioia ». Considerazioni simili, più taglienti, si trovano sparse nei diari di Grillparzer. Una monarchia costituzionale e tuttavia forte, la no biltà come classe illuminata, la Chiesa come potenza conservatrice che il singolo ha da rispettare, anche lad dove una libertà interiore lo facesse uscire dai limiti dog matici - in questi pensieri fondamentali Rivarol è certo conseguente ma non originale. Egli li condivide non solo con una élite spirituale ma anche con la mentalità di va sti circoli, in cui essi sono ancora vivi. Anzi, essi rivelano il loro influsso su tutte le costituzioni del XIX secolo. La peculiarità e l'irripetibilità di questo spirito risiede piuttosto nella formulazione dei pensieri, nel loro equili brio stringato. Essi sono talvolta abbaglianti, talaltra convincenti anche nella loro parsimonia, .come i movi menti di un ballerino che compare per un attimo a mo strare una figura che è insuperabile. Si sente che quella può essere solo cosi, non altrimenti. Non si dice niente di nuovo, ma l'arcinoto viene ridotto alla sua formula. 4.3 Anche il danzatore non può mostrare niente di più, niente di diverso dal corpo umano. Rivaroi non cerca di dare un nuovo senso allo stato ma da questo vuole tirar fuori la razionalità, che da sem pre è in esso contenuta e di cui abbisogna per la sua esi stenza. L'intenzione di Rivarol consiste nel liberare ciò che è sempre valido dalla massa storica, così come si fonde il minerale puro separandolo dalla roccia. A ciò si aggiunge l'impronta che dà alle sue frasi il carattere di monete. !l loro valore risiede, più ancora che nell'effigie e negli stemmi, nel metallo puro e temperato. I giudizi di Rivarol sul popolo non possono soddisfare il lettore odierno. In essi lo disturberà il distacco, anzi il sangue freddo. Per Rivarol, il popolo appartiene a ciò che, in quanto corps sodal, egli contrappone allo Stato in quanto corps politique. Egli impiega le espressioni peu pie, bourgeois e dtoyen, inoltre populace in connessione alle violenze e public laddove parla del popolo come soggetto dell'opinione. La massa del XIX secolo gli si an nuncia nella popolazione parigina. « Parigi non è la pa tria di nessuno. » Spesso ci si imbatte in opinioni del ti po di quelle che un secolo dopo Le Bon preciserà socio logicamente. Il popolo è per lui sempre immaturo, sempre in una condizione infantile, spesso crudele e assolutamente cre dulone. Segue sollecitazioni emotive. Quando Rivarol parla del popolo, lo fa sempre in base all'idea di popola rità, come parlasse di una forza elementare che reclama necessariamente l'idea di forma. In questo caso egli pen sa al governo e allo Stato, così come l'uomo di mare pensa alla nave e al timone e il contadino all'aratro quando parla del terreno. Questa è ancora la mentalità, dei Gabinetti del XVIII secolo: governare è un'arte con solidata. Anzitutto, Rivarol fa ancora una chiara distin zione tra popolo e Stato. Tutto ciò gli concede una mag giore disinvoltura rispetto ai suoi odierni lettori, per i quali il termine « popolo» è divenuto in parte un tabù e in parte una parola magica. Per questo, in Rivarol non troviamo neanche quell'irritazione dell'individuo emi nente di fronte alll\ massa, che cresce ininterrottamente nel corso del XIX secolo. Rivarol non avrebbe mai pro nunciato una frase come quella di Baudelaire: « al massi mo, il dandy parla al popolo per schernirlo ». In osserva zioni del genere si scorge la crescente lontananza dell'ar tista dal popolo, cioè a dire dalla borghesia che è uscita dalla Rivoluzione e dai suoi interessi, una frattura che raggiungerà il suo massimo in Nietzsche e nel modo in cui egli valuta i « Troppi ». D'altra parte, a questo comportamento dell'individuo geniale corrisponde la crescente esaltazione emotiva del popolo, che porta alle note sentenze, in forma di scritte murali, del tipo: « il popolo è tutto, tu non sei niente ». Allorché nell'opinione corrente il popolo viene innalzato a tutto, a tutto autorizzato e di tutto reso capace, esso perde forma e volto. Rivarol ne aveva un'opinione più modesta ma per lui valeva effettivamente di più. Nel frattempo, questi rapporti si sono spostati nella zona della prassi visibile, dell'esperienza quotidiana. Chiunque passi davanti a un'azienda «di proprietà del popolo» non si aspetta, neanche in sogno, che là gli si paghino i dividendi. Nessuno si aspetta neppure che dai giudici di una Corte popolare gli sia riservato un tratta mento particolarmente gentile. Piuttosto, oggi ognuno sa che certe parole sono più gratuite dei colori con cui le si dipinge sui muri. Di nuovo, anche se in una situazione del tutto diver 44 45 13 La concisione è un mezzo di chi è spiritualmente supe riore ma fisicamente debole,di chi non si può abbando nare a lunghi dibattiti. Nonostante tutte le sue invettive, Rivarol sta sulla difensiva, nella posizione in cui bisogna mantenere le scorte. In questo caso, occorre notare che egli non solo sta dalla parte dei perdenti come difensore della monarchia ma anche che combatte per la propria causa. Già Sainte-Beuve ha visto in questo la difesa di uno spirito colto contro le potenze livellatrici, il cui av vento lo atterrisce. Noi possiamo concepire questo rilie vo in maniera ancora più circoscritta e dire che in Riva roll'artista si difende dalle potenze dell'epoca, la cui mi naccia mortale egli vede agli inizi. Tutto ciò conduce a considerare quella vasta area in cui l'artista incontra i detentori del potere e lo Stato, e porta a riflettere sulle questioni della libertà, della sicu rezza e della difesa, che riguardano lo Stato stesso. Si può pensare all'artista come al portatore di una grande ricchezza, che è minacciato proprio da questa ricchezza. Ora, è singolare come la penetrazione in profondità del l'artista nel mondo e nei suoi tesori si accompagni spesso alla cecità per la situazione in sé. Di qui la partecipazio ne a quei movimenti che attraverso la libertà portano al livellamento. Di esempi se ne possono citare a volontà e anche di strade, seguendo le quali, si perde o la testa o, ancor peggio, la forza creativa. Ora, l'impulso alla liber tà è un tratto universalmente umano che raggiunge il suo culmine e viene poi bilanciato da contrappesi. Esso viene inseguito quasi in ogni esistenza artistica, anche se non di frequente nei suoi aspetti puramente politici, co me in Dostoevskij. Qui Rivarol ha visto sin dall'inizio con occhio impar ziale, e la parola « libertà» lo ha toccato poco, lui che conduceva personalmente una vita così libera. Si è sem pre interrogato su chi la pronuncia e su ciò che con essa si intende. Egli sentiva che una società che si libera in vi sta dellivellamento non promuove l'artista e che questi è destinato a inaridirsi, a estinguersi. Egli sapeva anche che non è buona cosa quando la ricchezza si fa anonima e si trasforma in una funzione all'interno di un apparato, controllato da una schiera di funzionari senza nome. L'artista dipende dall'esistenza di conoscitori, estimatori, dilettanti, collezionisti, mecenati, uomini munifici, i qua li, al di là della semplice accettazione della vita, sono in teressati al suo approfondimento e abbellimento, alla sua spiritualizzazionej e dipende dal fatto che qui lo sperpero può diventare virtù. Tutto ciò presuppone un certo numero di uomini ozianti e anche una ricchez 46 47 sa, l'uomo si vede posto dinanzi al problema di Wilbelm von Humboldt, « determinare i confini dell'attività dello Stato ». TuttO ciò è possibile solo se si sa distinguere tra popolo e Stato. Il movimento diviene altrimenti senza fine. Anche se Rivarol seppe farlo, non si può tornare alla sua posizione. Davanti a noi sta il compito di riempire nuovamente la parola « popolo », un compito che nes sun passato ci può sottrarre. Il modo in cui si sviluppa il nostro mondo del lavoro è più favorevole a questo com pito di quanto lo fosse l'individualismo del secolo scor so. Ma esso non può essere adempiuto senza un aiuto teologico, attraverso il quale soltanto l'uomo può essere riconosciuto non solo come il «Prossimo» ma anche come il « Libero ed Eguale », e con ciò essere liberato dal suo isolamento, di cui sono un segno i grandi luoghi di orrore del nostro mondo. Un poeta come Dostoevskij lo ha riconosciuto. 14 za ereditaria, il raffmamento del gusto e del giudizio che è il frutto maturo di generazioni. Rivarol contrapponeva a questa ricchezza la forma barbarica delle grandi fortu~ ne accumulate dagli esattori di imposte e dai fornitori bellici. In maniera analoga all'uniformazione della società, l'avvento dello Stato nazionale doveva risultargli inquie tante. In ciò egli doveva vedere un indebolimento della monarchia, dell'esercito, degli Stati generali, delle pro vince e, addirittura, delle nazioni: il semplice incremen to, alla fin fine illusorio, a scapito della sostanza. Forse solo oggi, che siamo in cattive acque, tutto ciò si può nuovamente apprezzare. A Rivarol premeva la ricchezza della tavolozza, non le sue dimensioni. Per quante siano le ragioni di coloro che promuovono un livellamento, ciò non è compito dell'ar tista. Questi è colui che deve mettere in gioco una liber tà superiore a quella dei prìncipi e che egli trova in se stesso. Egli dimora in ciò che non ha confini e deve te mere il cammino che porta dal poeta nazionale all'impie gato statale e al pensionato. Alla fine vi è la routine ve nale e l'esaltazione remunerata, mentre sullo sfondo fu ma lo stabilimento degli sfruttatori. 15 Ai dati esteriori si deve aggiungere che Rivarol emigrò dapprima a Bru:x:elles. Si trattenne là sino ai primi del 1794, quando Pichegru si avvicinò alla città con la sua armata rivoluzionaria. Là egli conduceva la sua vita abi tuale; si occupava dei suoi progetti, pubblicava e fre quentava la società più o meno buona degli emigrati. Tracce del suo soggiorno a Bruxelles si trovano nella letteratura contemporanea, nelle Memorie d'oltretomba 48 di Chateaubriand e nell'epistolario di Fersen con la regi na. Nel contegno o ritegno di Fersen verso Rivarol si ri specchia la cautela con cui da sempre i legittimisti della più bell'acqua e anche la Chiesa si sono incontrati con gli avventizi che a loro accorrono dalla letteratura. Qui si ha il pregiudizio del vecchio soldato verso il volonta rio ma anche la sensazione che in questa offerta si na sconda il regalo dei Danai, un'arma a doppio taglio. I le gittimisti possono avere ragione, poiché un rapporto ra gionato non è più quello originario. Ma ogni vincolo tra uomini fondato sulla fiducia e su promesse solenni sot tostà agli influssi del tempo. Sopraggiungono crisi che o provocano la rottura o portano a una meditata riparazio ne. Se questa riesce, l'unità può diventare più salda di prima. Senza dubbio, per la sussistenza della monarchia era no allora più importanti spiriti nobili come Rivarol che rigidi realisti del tipo di Fersen, sotto la cui supervisione fu redatto il manifesto del Duca di Brunswick. Qui si ur ta contro il medesimo, errato giudizio della situazione che trent'anni più tardi promanerà dalle ordinanze di Polignac. Ma, in simili svolte, sempre si rinnova l'incon tro tra caratteri aperti e caratteri assoluti: essi apparten gono a quel tipo di figure storiche che si presentano con maschere sempre nuove. Si leggano, ad esempio, gli at tacchi del vecchio Marwitz a Hardenberg. 7 Nei circoli di Corte si diceva persino, di un conservatore come il gene rale Yorck, cui la monarchia prussiana doveva tanto, che egli avrebbe dovuto suicidarsi dopo T auroggen. 8 Da Bruxelles, Rivarol si diresse attraverso l'Olanda a Londra, dove egli, nonostante fosse stato accolto con onore da Pitt e dal suo ammiratore Burke, rimase solo alcuni mesi. Sembra che la città gli si addicesse poco e che egli non vi trovasse i necessari aiuti. Dopo qualche tempo, cercò quindi di procurarsi un asilo accoglien 49 te. Gli fu offerto ad Amburgo, dove si era diretta sua so rella Françoise in compagnia di Dumouriez, con cui condivideva l'esilio. Nella sua casa, come in quella di Madame de Neuilly e di altre dame, si riunivano gli emi grati realisti. Rivarol vi trovò un terreno fertile. Ad Am burgo abitava anche l'editore francese Fauche, con il quale concluse un favorevole contratto per il dizionario in programma. La prima parte dell'ampio Discours préli minat,e apparve nel 1797 ed ebbe grande successo. Rivarol occupava una piccola casa a Hamm, un sob borgo di Amburgo. Qui egli spendeva il suo tempo in meditazioni sulla grammatica generale e superiore, quando non lo dedicava a lunghe passeggiate o a un'e stesa e faticosa vita di relazione. Egli si limitava aIIa cer chia della colonia francese o, per meglio dire, degli ascoltatori francesi: si rivolgeva alla loro comprensione e ancor di più alloro fiuto, il fiuto che si acquisisce solo nella madrelingua. Per questo motivo non arrivò nean che a incontrarsi con dei tedeschi eminenti quali KIop stock e Claudius, coi quali viveva in certo modo porta a porta. A prescindere da ciò, la società amburghese incli nava piuttosto per gli emigrati liberali: La Fayette venne salutato con entusiasmo. Nei suoi rapporti personali Rivarol non era schizzino so, purché soddisfacessero le sue pretese spirituali. Egli frequentava uomini di mondo come Tilly e altri, a causa dei quali l'emigrazione in Germania si è fatta una cattiva fama. Possediamo una lettera di Jacobi in cui si ritrova questa impressione. Anche in Germania, a Rivarol non mancavano i nemici, poiché neI frattempo molti di colo ro che aveva ritratto nell'Almanacco dei grandi uomini, o altrove, erano emigrati. Così, si era diretta ad Amburgo anche Madame de Genlis, sulla quale precocemente e ri petute volte egli aveva provato il filo tagliente della sua battuta. Per questi intrecci deve essere nata allora, pro 50 babilmente ad opera di Arndt, l'espressione «cricca di emigranti ». Chateaubriand li ripartiva in categorie. An noverava Rivarol nell'« emigrazione fatua »: similmente a Ligne, egli avrà notato in lui poco più della superficie dandystica. Di conseguenza, anche ad Amburgo non mancarono i fastidi. Inoltre il passo strascicato che prese il lavoro al dizionario portò a dei contrasti con l'editore Fauche. Tutto questo può aver indotto Rivarol a interrompere la sua permanenza a Hamm verso la fine de11800 e a tra sferirsi a Berlino. L'emigrazione è una condizione noma de, in cui sempre si tratta di togliere le tende. È una vita da ospiti. Anche a Berlino, per lui, membro dell' Accade mia, si aprivano le grandi case, tra cui quella della signo ra von Kriidener. Egli frequentava inoltre le principesse Gallitzin e Dolgorukij, alle quali era legato da amicizia. Possediamo molte testimonianze su questo brillante soggiorno berlinese, che però la morte concluse già il 5 aprile 1801. Una grave infreddatura si portò via Rivarol. Il suo corpo, consumato come una candela che brucia alle due estremità tanto per l'incessante attività spirituale quanto per i piaceri, oppose solo breve resistenza. Antoine de Rivarol venne sepolto al cimitero di Do rotheenstadt: la sua tomba cadde ben presto nell'oblio. Quando nel 1856 Vernhagen von Ense volle farvi visita, non la trovò più. La sua fama gli è sopravvissuta. Un'esistenza simile viene nobilitata dall'opera, che, come la perla alla con chiglia, le conferisce senso e rango. Tra i vecchi e i nuovi autori egli resterà esemplare per l'intrepido e tuttavia ponderato atteggiamento con cui il singolo si contrappo ne alla corrente del tempo, che minaccia di divorare tut to e di cui solo pochi cuori e poche menti sono all'altez za. « Egli, ha adornato e attrezzato la ragione con le armi 51 Torniamo ancora una volta alla domanda posta all'ini zio: un autore morto da cento cinquant'anni, che cercò di affrontare come singolo la Rivoluzione allo stato na scente, che significato ha per il nostro tempo, cioè per un tempo in cui questa Rivoluzione si è consolidata, trionfante, in tutte le sue conseguenze e su tutta la linea, territorialmente e planetariamente, teoricamente e prati camente, nelle abitudini e nelle istituzioni? Da lungo tempo sono tramontati i regni che si disco starono dalle nuove idee, Prussia, Austria e Russia, e tra essi si potrebbe annoverare anche la Turchia; il fatto che siano stati scalzati quasi in un giorno e da ambo i lati dello scacchiere offre un'idea della forza livellatrice del l'attacco. Mentre in questo caso l'attacco suscita delle immagini meccaniche, come quelle delle corone infran te, in altri regni avversi al cambiamento esso sembra piuttosto operare chimicamente, per mezzo di una più sottile dissoluzione. Tutto ciò è da vedersi spazialmente, ma il trionfo delle idee del 1789 si ripete anche tempo ralmente nelle grandi spinte contro le potenze conserva trici e i regimi personalistici, contro gli imperi formati dalla massa, contro la monarchia restaurata, contro la re 'galità borghese e la borghesia fondiaria conservatrice. I castelli vengono distrutti o trasformati in musei, anche laddove vi si incontrano ancora i re. La parola « conservatore» non appartiene alle crea zioni felici. Racchiude un carattere che si riferisce al tempo e vincola la volontà alla restaurazione di forme e condizioni divenute insostenibili. Oggi chi vuole ancora conservare qualcosa è a priori il più debole. Sarà dunque bene cercare di separare la parola dalla tradizione. Si tratta piuttosto di trovare o anche di ritro vare quel che da sempre viene posto e che resterà alla base di un ordine salutare. Ma in questo c'è qualcosa di extratemporale, cui non si giunge né con un regresso né con un progresso. I movimenti vi ruotano attorno. Solo i mezzi e i nomi si modificano. In questo senso si deve concordare con la definizione fornita da Albrecht Erich Giinther, che non intende la conservazione' come un « restare attaccati a ciò che era ieri ma come un vivere di ciò che sempre vale ». Ma può sempre valere solo qual cosa che si sottrae al tempo. Ciò si fa valere, e in verità in maniera funesta, anche quando non se ne tiene conto. La volontà di mantenere ciò che non è da mantenere rende infruttuosa la critica conservatrice, che così spesso è congiunta alla bellezza e all'acutezza di spirito. Si entra in palazzi mezzo rovinati, che sono diventati inabitabili. È questo il sentimento che suscitano oggi le opere di Chateaubriand, de Maistre, Donoso Cortés e alla lonta na anche quelle di Burke, che esercitarono un così gran de influsso sul Romanticismo tedesco. È certamente lo stesso sentimento da cui Nietzsche trasse il paradosso secondo cui ciò che cade deve essere ancora abbattuto e, in effetti, le spianate devono precedere le edificazioni. Per questo motivo, ancora Léon Bloy si definiva come un imprenditore di demolizioni, ma oggi anch'egli do vrebbe mettere da parte il suo mestiere. Sempre si vedono dei giovani che si impegnano in tentativi infruttuosi, come ad esempio la restaurazione della monarchia. A questo riguardo, i Francesi hanno pagato il prezzo dell'apprendistato e bisognerebbe farse ne una ragione in tempi in cui non esistono più né un monarca né un popolo atto alla monarchia. In tempi 52 53 dello spirito », dice uno dei suoi biografi, e questa po trebbe figurare come una massima sulla sua opera. 16 cosl movimentati domina un genio energico, determina to, che si cercherebbe invano proprio nelle antiche fami glie. Oggi, solo sull'azione non si avanzano riserve. Que sto è deplorevole e tuttavia con ciò viene a mancare l'e reditarietà in quanto potere. Il carisma è ereditario, l'a zione no. Tra i pensatori della conservazione Rivarol si distin gue per la sua obiettività razionale. Per questo motivo, non per le soluzioni, ma per l'impianto del suo pensiero, la sua opera offre stimoli a chiunque rifletta su come va da formato un nuovo humus e creato qualcosa di perma nente in una situazione di tabula rasa. Questo pensiero è cosl urgente che persino in America si comincia a tener ne conto, come si deve concludere dallo scalpore che hanno suscitato i lavori di Russell Kirk. Ma si può parlare di tabula rasa mentre nel mondo vengono innalzati cosl tanti edifici come mai prima d'o ra, e tra questi titaniche costruzioni statali? Sl, in quanto anche le fondazioni sono diventate cosl incerte come mai prima d'ora, cosa che traspare dalla sensazione, di venuta assolutamente generale, che tutto ciò può essere spazzato via d'un soffio. Il giro d'affari cresce a scapito del capitale e il movimento a scapito della sostanza. Sia mo appesi come a delle eliche nell'aria. Con tutte le assi curazioni e con il crescente valore che si attribuisce alla sicurezza, viene tuttavia a mancare la sicurezza ultima, quella della fiducia, sia degli uomini tra loro sia nella provvidenza, che caratterizzò il vero ordine. Un'altra questione è se il capitale di base del mondo possa essere intaccato dagli sforzi degli uomini o addirit tura esaurito, oppure se esso non somigli piuttosto a un filone d'oro che il nostro sguardo non riesce nemmeno a seguire. A questo alludono i miracoli della moltiplicazio ne dei pani e dei pesci o anche il detto degli antichi se-. condo cui gli dei ci danno il meglio gratuitamente. Si esaurirebbero allora solo· gli ordinamenti umani ma non l'ordine del mondo. La fiducia in esso, anche quando tutto sembra perduto, è in effetti un tratto fondamentale del pensiero conservatore. Per quel che attiene alla miniera d'oro, vi è sempre un aggirarsi attorno ad essa come attorno a un luogo che si è dissolto per gli occhi e che tuttavia viene ancora senti to dal cuore. È una caratteristica della nostra epoca la ri cerca di immagini eterne che stanno dietro agli ordina menti e alla loro trasformazione. Essa sente la mancanza non del re ma certamente del padre, il cui simbolo era il re. È questa nostalgia che, nelle repubbliche e nelle dit tature, vorrebbe rafforzare, con l'amore, le personalità fuggevoli e spesso terribili dei detentori del potere, e che concede loro dei diritti che mai spettarono ai monarchi costituzionali o assoluti. Lo stesso vale per la nobiltà, che ha perduto ovunque il potere. Tuttavia, ovunque la società è alla ricerca di élites, di modelli. E alla fin fine, anche i culti possono sprofondare e perdere di significa to e tuttavia l'uomo avvertirà in eterno la mancanza della luce che li rischiarava e presentirà la patria (Heimat) nel l'infinito. Ma si è stabilito quel che è la patria (Vaterland)? Noi sappiamo che con la formazione degli stati nazionali, che tante vittime procurò, il termine si è modificato. E di nuovo si profila il nascere di spazi più ampi, che non sono soltanto territori ma anche spazi dello spirito. L'oc chio non vede quel che prima lo spirito non ha visto. Può venire il giorno in cui la terra sarà una patria, certo, in altro modo da come se la rappresentavano gli antichi cosmopoliti. Non fa meraviglia che questi passaggi deb bano sembrare più oscuri e difficili di quelli che porta rono dai principati territoriali e dai domlni feudali agli Stati nazionali. A questi cambiamenti presiedono delle necessità, il 54 55 vincolo dei fatti. L'uomo viene spinto nel nuovo. Glielo si imprime fisiognomicamente. Ma egli non può accet tarlo, non può accontentarsene solo perché il nuovo è più conforme a un fine, più pratico o più forte. Deve ag giungersi un legame. L'uomo lo ricava non dal patrimo nio storico ma dal patrimonio eterno, che è il suo vero sostegno. Gli atti fondativi diventano allora fondazioni. E sempre si debbono fare dei sacrifici. 17 È nelle caratteristiche del nostro tempo che ad aspirare e a rivolgersi ai patrimoni fondamentali siano più i movi menti rivoluzionari che quelli conservatori. Qui, e non nelle parole d'ordine dell'epoca, risiede il segreto dei grandi successi. Negli sforzi immensi che caratterizzano quest'epoca vi è un ruotare attorno a verità antiche e solo quando es se compaiono nel vestito dell'epoca la tradizione può ri cominciare. La difficoltà di trovare un termine nuovo, credibile, al posto di « conservatore» risiede più in pro fondità che nella sfera dell'etimologia. Un termine simile non viene inventato ma generato attraverso il fatto vin colante che esso riunisce in sé lo splendore della verità antica e di quella nuova. Vi è nel nocciolo solo una veri tà, cosi come vi è solo una salute. Conservatore non significa restauratore, poiché nella condizione di restaurazione si trovano oggi le idee del 1789, con i loro simboli e le loro istituzioni, che sono di ventate singolarmente logore, spesso anzi spettrali. Ma un vestito logoro è sempre meglio che nessun vestito. Nel frattempo ci siamo fatti modesti e conosciamo, tanto come privati quanto come cittadini dello Stato, i limiti della nostra sicurezza. Sappiamo che le nostre costitu 56 zioni non sono poste su autentiche fondamenta ma sono intessute delle negazioni che si presentano al vinto dopo una grande sconfitta. In fondo questo corrisponde al no stro stato meglio di quanto sarebbe se le. si abbellissero con finte volte romantiche. Basteranno per alcuni anni. Vi sono anche altre preoccupazioni, perché, come è oggi avvertito dai più, i nostri veri problemi non sono politici o, anche laddove si pongono politicamente, non sono questi i problemi più difficili. Un problema politico co me la riunificazione con l'Est tedesco si rivolge alla pro fondità del nostro volere: se questa sarà sufficiente, il problema sarà risolto. Altre considerazioni ci inquietano più vivamente: ad esempio, gli sforzi politici in genere bastano ancora di fronte alla rottura degli argini in una sfera completamen te diversa? L'uomo del XIX secolo, apparentemente cos1 terra-terra, cos1 positivo, ha sviluppato (non solo grazie alla scienza) organi la cui portata è incalcolabile. La pit tura vorrebbe cogliere la sua immagine, ma può dipinge re il signor Lehmann che cerca di prendere la luna? Qui si apre una frattura fra il potere e l'essere. Un'altra que stione è se questa sproporzione, più che nei mezzi, non risieda invece in una rappresentazione dell'uomo non più o non ancora adeguata. Dovremmo allora o riferire gli organi a un tipo umano che sia alla loro altezza oppu re cercare delle immagini forti nel passato, sia nel mon do arcaico sia in quello dei miti. Là dominava una misu ra più grande. Questa via l'hanno scoperta anche i pitto ri più dotati, ma si tratta di qualcosa di più che di un problema di pittura. 57 18 La perdita di una tradizione viene giudicata diversamen te a seconda del punto di osservazione e della misura in cui si ritengono necessari il movimento e la mobilità nel le epoche che stanno davanti a noi. Se l'influenza dei classici si affievolisce o diventa museale, ciò non signifi ca ancora che la gioventù è diventata inaccessibile alla parola e al suo potere. Anche la parola non può immer gersi due volte nella stessa corrente. Solo nell'inespresso, là dove è lo spirito, essa ha consistenza. In questo senso, la lingua è la salda cittadella, il nucleo vivo della rifles sione e non è un caso che Rivarol le rivolgesse la sua maggiore attenzione. Non mancano i tentativi di sminuire la lingua e di ab bassarla a una specie di mezzo di trasporto. Ma essa è sopravvissuta a tempi ancora peggiori. Lo straordinario è che il tesoro che riposa in essa può essere dissotterrato dai singoli, e in maniera sostanziale. Quando il grande storico dà vita alla storia, egli ricava dal passato un'im magine significativa. Ma laddove il poeta rinnova la lin gua, egli fornisce un'immagine significativa e allo stesso tempo originaria, percuote la roccia con il bastone, dallo spirito produce la vita. Dove la lingua irrigidita nel corso dei secoli diventa chiara e fluida come lava, sgorga an che la fonte in cui passato e presente sono trasparenti e indivisi. 58 NOTE Il saggio è del 1956. Con ciò Jiinger vuole intendere che la tirannide sostiene soltan to libri che cadono, ovvero una cultura di propaganda. 3 Jiinger si riferisce qui alla vittoria della Prussia bismarckiana, alleata con l'Austria nel conflitto con la Danimarca per il possesso dello Schleswig-Holstein. 4 JUnger allude qui alla parentela tra il vocabolo inglese dandy e il verbo tedesco vertiindeln (<< perdersi in sciocchezze, sciupare inutil mente» di cui sopra). 5 Riferimento alle Zahme Xenien di J.W. Goethe. 6 N. Machiavelli, Discorsi sopra la prima deca di Tito Uvio, 1, II, cap. XXIX. 7 Karl August von Hardenberg (1750-1822) è il promotore di im portanti riforme nell'ordinamento dello Stato prussiano, all'indomani della sconfitta della Prussia a Jena ad opera di Napoleone. EL. von der Marwitz (1777·1837) è invece il rappresentante dell'opposizione nobiliare alle riforme. 8 JUnger si riferisce alle convenzioni di "rauroggen (1812), duran te le ultime fasi della disastrosa campagna di Napoleone in Russia. A Tauroggen il generale prussiano Yorck von Wardenburg offrlla neu· tralità della Prussia, fino ad allora alleata di Napoleone, alla Russia, per ottenere la completa disfatta dell'armata francese. l 2 59 Politica La potenza è la forza organizzata, l'unione dell'organo con la forza. L'universo è pieno di forze che non cercano altro che un organo per diventare potenze. I venti, le ac que sono forze; applicate a un mulino o a una pompa, che sono i loro organi, divengono potenza. Questa distinzione tra la forza e la potenza dà la solu zione del problema della sovranità nel corpo politico. TI popolo è forza, il governo è organo e la loro unione co stituisce la potenza politica. Non appena le forze si sepa rano dal loro organo, la potenza non c'è più. Quando l'organo è distrutto e restano le forze non c'è altro che convulsione, delirio o furore; e se è il popolo ad essersi separato dal suo organo, cioè dal suo governo, allora c'è rivoluzione. La sovranità è la potenza conservatrice. Perché vi sia so vranità, occorre che vi sia potenza. Ebbene la potenza, che è l'unione dell'organo con la forza, non può risiede re che nel governo. TI popolo ha solo delle forze, come si è detto, e queste forze, quando sono disgiunte dal loro organo, ben lungi dal conservare tendono solo a distrug gere; ma lo scopo della sovranità è di conservare: dun que la sovranità non risiede nel popolo, ma risiede nel governo. Non si plasma un impero repentinamente. La legge è l'unione della ragione e della forza. TI popolo dà la forza e il governo la ragione. 63 I diritti sono proprietà fondate sulla potenza. Se la po tenza viene a mancare, anche i diritti crollano. Il popolo ha bisogno di verità pratiche e non di astra zioni. I gesti autoritari dei sovrani sono come fulmini che non durano più d'un istante; ma le rivoluzioni dei popoli so no come terremoti, le cui scosse si trasmettono a distan ze incommensurabili. In un esercito la disciplina pesa come uno scudo e non come un giogo. Il popolo accorda il suo consenso, non la sua fiducia. I popoli più civilizzati sono tanto vicini alla barbarie quanto lo è alla ruggine il ferro più levigato. I· popoli, come i metalli, non brillano che in superficie. La filosofia, essendo il frutto di una lunga meditazione e il risultato della vita intera, non può e nori deve essere spiegata al popolo, che si trova sempre all'inizio della vita. Per compiere una rivoluzione è più necessaria una gran de misura di stupidità da una parte che una certa dose d'intelligenza dall'altra. le nostre facoltà troppo spesso prodotta dalle passioni, che non possono mai concepirsi senza la volontà, mentre troppo spesso constatiamo che la ragione è abbandonata dalla volontà. L'invidia, la èrudeltà, l'ambizione voglio no; la ragione prega o comanda. Le donne sono piene di volontà. Una tensione debole si chiama velleità. Quando dall'età delle passioni e delle sensazioni si passa a quella delle idee, la volontà diminuisce: questo è il momento in cui si possiede una mente politica. Il corpo politico è un'idea differenziata, un'idea com plessa; bisogna ben abituarsi a questa specie di idee, perché in definitiva l'uomo non ne possiede altre. Non potendo ruomo esistere senza la terra, il corpo politico non può esistere senza la terra e l'uomo. Non si può concepire un cavaliere senza il cavallo, né si può conce pire l'equitazione senza cavallo e cavaliere. La forma del la briglia è determinata dalle dimensioni dell'uomo e del cavallo, come la forma del governo è determinata dalle dimensioni del territorio e della popolazione .. Se è vero che le congiure vengono talvolta ideate da per sone intelligenti, è certo che sono sempre eseguite da be stie feroci. Quando l'esercito dipende dal popolo, succede alla fine che il governo dipende dall'esercito. La volontà è una schiava robusta che è al servizio ora delle passioni, ora della ragione; è una tensione di tutte Quando un governo è stato abbastanza cattivo da susci tare l'insurrezione e abbastanza debole da non reprimer la, allora l'insurrezione è legittima come la malattia: per ché anche la malattia è l'ultima risorsa della natura; ma non si è mai detto che la malattia fosse un dovere del l'uomo. 64 65 Bisogna attaccare un'opinione con le sue stesse armi: non si prendono a fucilate le idee. Nel corpo politico c'è un grado di rivalità e di emulazio ne che ne fa l'armonia e che si estende dal bracciante fi no al grande proprietario terriero, dal soldato semplice fino al maresciallo di Francia. Nella duplice gerarchia del potere e della ricchezza ognuno ambisce a diventare l'uomo che ha dinanzi a sé, da sé distinto per un solo grado di autorità o di ricchezza. Questa ambizione è molto ragionevole; ma i nostri pensatori hanno brusca mente accostato i due estremi, opponendo il soldato al generale e il bracciante al proprietario. Questo contrac colpo ha rovesciato tutto. Nel corpo politico vi è una parte di manomorta; in essa tutto è rendita vitalizia e usufrutto. Per questo si diceva: « Il re è sempre minorenne e il dominio della corona è inalienabile ». I nostri pensatori fondano spesso l'idea di uguaglianza su proporzioni anatomiche: dal fatto che i nervi, i mu scoli e la figura esterna sono identici, essi concludono che due cittadini devono essere uguali; ma «uguale» non significa « simile »; crederlo è un errore funesto. Un popolo ha molte voglie e, di conseguenza, vuole molte cose contrarie alla prosperità del corpo politico, perché ogni popolo è un fanciullo. Sé, come avvenne per gli ebrei, un popolo abbandona la sua terra per seguire un capo nel deserto, servono giochi di prestigio per at trarlo e miracoli per salvarlo. Se un popolo nomina un generale o un re, in quest'atto importante il solo valore politico è dato dalla necessità che costringe il popolo a quell'atto, cioè alla nomina di un capo; ma la scelta del l'uno o dell'altro, se è puramente volontaria, è di solito cattiva. 66 Una sicurezza perfetta, una costante inviolabilità dei propri beni e della propria persona, ecco la vera libertà sociale. La libertà al di fuori della società non contiene in sé l'i dea di sicurezza e quest'ultima non può essere compresa né senza la libertà né senza la società. Ci si chiede sempre se i re siano fatti per i popoli o i po poli per i re. La risposta è semplicissima: i popoli sono fatti per il corpo politico: poiché, nello Stato, se il popo lo è la parte più numerosa, il governo gioca il ruolo prin. cipale; l'uno e l'altro sono costituiti a vantaggio del tut to. La lancetta in un orologio non è fatta per le ruote né le ruote per la lancetta: tutto è fatto per l'orologio. Se il principe è un devoto, il confessore giusto dev'essere uno statista. Gli Stati tirannici periscono per mancanza di dispoti smo, come le persone raffinate per mancanza di finezza. In uno Stato si deve fare una netta distinzione tra la maggioranza numerica e la maggioranza politica. La natura ci condanna a uccidere un pollo o a morire di fame; in ciò consiste il fondamento dei nostri diritti. Ed ecco la genesi della sfera politica: i bisogni fondano i di· ritti e i diritti fondano i poteri. Ma in Francia si sono concessi al popolo poteri ai quali non aveva diritto e di ritti dei quali non aveva bisogno. Nella misura in cui, presso il popolo, si attenua la super stizione, il governo deve intensificare le precauzioni e rinforzare l'autorità e la disciplina. 67 In Inghilterra lo spirito pubblico è più sano, mentre in Francia si è sviluppato meglio lo spirito particolare, co sicché in Inghilterra troverete un popolo migliore, in Francia un miglior individuo. La gentilezza nel sottoposto è un segno del suo stato, nel superiore è segno della sua educazione; pertanto, nono stante la Rivoluzione, quest'ultimo continua ad essere gentile per non dar a vedere di aver perso la propria educazione, mentre il popolano smette di esserlo per di mostrare che ha mutato condizione. Costui offende, in sulta, perché un tempo obbediva e adulava: è da questi segni che egli riconosce l'uguaglianza. Il sovrano assoluto può essere un Nerone, ma talvolta è un Tito o un Marc'Aurelio; il popolo è spesso un Nero ne e mai un Marc' Aurelio. Nei periodi di pace le reputazioni dipendono dall'opi nione delle classi alte, ma durante le rivoluzioni dipen dono dal basso ceto: è questo il tempo delle false repu tazioni. di ciò che non possono più essere. Per questo la Roma moderna si è data i suoi tribuni e i suoi consoli. Il tempo è come un fiume: non risale alla sorgente. Un grande popolo eccitato dalle passioni non può che essere capace di massacri. Ci sono dei periodi in cui il governo perde la fiducia del popolo, ma io non so proprio in che cosa il governo pos sa fidarsi del popolo. Un governo sarebbe perfetto se potesse sempre unire la ragione alla forza e la forza alla ragione. È una bontà stupida e crudele quella di consultare i fan ciulli su ciò che vorranno essere da grandi: bisogna sce gliere per loro e non gettarli nell'indecisione, che fa si che perdano fiducia in noi e non l'acquistino in se stessi. Altrettanto vale per i popoli e i loro governi. La più grande sciagura che possa capitare ai privati co me ai popoli è di ricordarsi troppo di ciò che sono stati e Sulla rivoluzione. Di tutti i francesi fummo i primi a le vare la penna contro la rivoluzione, ancora prima della presa della Bastiglia. Lo riconobbe lo stesso Burke, nella sua squisita lettera a mio fratello, più tardi pubblicata, e di questo siamo orgogliosi. Non senza pericolo e tuttavia fiduciosi nella ricompensa che avremmo trovata nelle nostre stesse convinzioni e nella nostra coscienza, ci arri schiammo a combattere in un tempo in cui tutti ancora scorgevano nella rivoluzione la grande opera benefica della filosofia, il suo alto risuonare, e il portato dei lumi. L'Assemblea Nazionale, la cui potenza si fondava sulla debolezza del re e la cui baldanza si fondava sull'impo tenza della capitale, inebriata dai successi e dagli incen~ samenti che si levavano al suo indirizzo dalle province e all'estero, si pasceva di soperchierie e non presagiva, nel 68 69 Si sa che, visti dalla nostra terra, i movimenti degli altri pianeti appaiono irregolari e confusi e che bisogna sup porre di trovarsi nel sole per poter giudicare corretta mente l'ordinamento di tutto il sistema: cosi un privato cittadino giudica il corpo politico in cui vive molto più erroneamente di colui che si trova al governo. Le leggi della natura sono ammirevoli, ma schiacciano nei loro meccanismi molti insetti, cosi come fanno i go verni con gli uomini. suO accecamento, quali frutti avrebbe dato la sua semi nagione né quali seguaci stesse allevando in seno. Invano levammo la parola e la penna per la religione, la morale e la politica nel nome dell'umanità e dell'espe rienza dei secoli. La nostra voce si perse nella gigantesca catastrofe; noi restammo ammutoliti. Il nostro lournal politique si limita ai primi sei mesi della rivoluzione. Le grandi follie erano già avvenute. Già la ragione, per i suoi eccessi, era divenuta delittuosa. Il re si trovava prigioniero a Parigi, la nobiltà e il clero erano dispersi e in fuga. Le leggi cedevano il posto ai de creti, la moneta agli assegnati; i giacobini sedevano in permanenza. Su quali aiuti potevano far conto un animo onorato e una mente sana in una situazione in cui solo i pazzi e i briganti avevano speranza di successo? Noi do vemmo dunque lasciare la Francia, finché i giacobini preferirono la nostra fuga alla nostra morte, e dovemmo portare la nostra miseria presso i prlncipi e i popoli che ci tolleravano. In quello stesso tempo, nell'esercito si rispecchiava il destino della nazione. Gli ufficiali, nonostante la loro appartenenza alla nobiltà, desideravano mutamenti più o meno grandi. Ma quando i soldati, che prima obbedi vano come automi, abbracciarono le idee democratiche, gli ufficiali ritornarono ad essere aristocratici, come se avessero favorito la rivoluzione solo per lasciarsi stermi nate da essa. Allo stesso modo il clero, la nobiltà, i par lamenti e tutti i notabili, quasi senza eccezione, desidera rono la rivoluzione, quando la nazione in massa ancora dormiva; tuttavia, appena quella si sollevò hl seguito ai loto stimoli, essi fuggirono o salirono sul patibolo. lo biasimai l'emigrazione e lasciai la patria solo nel 1791. Lo volle il re, perché la mia penna poteva servire ai suoi fratelli. Eppure, per questo, sono preparato all'ingrati tudine. 70 Anche se il corso rivoluzionario si dovesse ripetere, gli oppressi non ricercherebbero nei nostri scritti un in segnamento salutare, mentre i malfattori scorgerebbero il loro modello nelle macchinazioni dei giacobini. Nel 1789 io ho visto membri dell' Assemblea Nazionale stu diare con zelo il Clarendon, che essi prima non avevano mai letto, per conoscere come il Lungo Parlamento avesse voltato faccia a Carlo I. D'altronde, poiché l'amor proprio e le passioni sono insopprimibili, io credo che né i re né i popoli traggano ammaestramenti dalla storia e che, se Luigi XVI dovesse avere un successore della propria stirpe, la sua sfortuna e i suoi difetti non significherebbero nulla per costui. Invece dei diritti dell'uomo sarebbe stato meglio enunciare i prindpi fondatori dello Stato. Si fosse dedi cata a questo la Costituente che, come si sa, null'altro ha costituito che la nostra sventura! Tuttavia, su questo ter reno, essa doveva temere la critica; perciò preferlarmar si delle passioni, in ispecie della vanità, mentre assumeva come tema dei propri lavori i diritti dell'uomo, senza pensare che sotto questo titolo nessuna costituzione è possibile. In esso si nasconde non solo la rivoluzione, ma anche il germe di tutte le rivoluzioni future, e una costi tuzione fondata solo sui diritti dell'uomo si condanna fin dall'inizio all'impotenza. Tutti i poteri, e anche il re, so no stati travolti perché hanno cercato di attenersi alla lettera della costituzione contro lo spirito della rivoluzio ne. La Costituente, invece di dire « hoc est jus », diceva «jus esto », e con ciò essa violava parimenti la propria costituzione insieme con la monarchia. Il grande metafisico Sieyès ha ridotto all'assurdo tutti i prindpi della metafisica quando ha posto il suo insensa to assioma della ragione universale, signora del mondo: 71 cosi mette fuori gioco tutta la teoria delle passioni e gli effetti dell'ignoranza. sulla sicurezza, per andare nelle città, dove la sicurezza prevale sulla libertà. Vi è una grande distinzione tra proprietà e sovranità. I re facevano uso nei loro editti di formule che esprimeva no una condizione di proprietà dispotica non corrispon dente alla realtà. Tutto ciò è fondato sul diritto primitivo di conquista, sul fatto che i.monarchi hanno esteso a po co a poco a tutto il regno lo stile di comando che aveva no assunto nel loro dominio personale, e sull'uso di pa role sempre più forti in conseguenza dell'accresciuto va lore degli uomini. Sarebbe stato meglio, invece, essere ancora più padroni nella sostanza e ridurre le pretese nella forma. Non averlo fatto è stato anche l'errore dei rivoluzionari: avrebbero dovuto nascondere al popolo le proprie forze, imponendogli forme di rispetto verso il sovrano, e queste stesse forme, a loro volta, avrebbero celato al re la sua effettiva debolezza. C'era nella nazione, e c'era sempre stata nell'Assemblea dei suoi rappresentanti;· una maggioranza di invidiosi e una minoranza di ambiziosi: perché la grande massa non può sperare di ottenere le cariche e solo un piccolo nu mero può avanzare pretese fondate. Orbene, l'ambizione vuole ottenere il suo oggetto, mentre l'invidia vuole di struggerlo, ed è questa invidia della maggioranza che è prevalsa sull'ambizione della minoranza. Se aveste consultato tutti i francesi prima della convoca zione degli Stati Generali, avreste visto che ognuno di loro desiderava una parte della odierna rivoluzione. Sembra che il destino abbia accolto tutti i loro desideri per darci la rivoluzione nella sua interezza. Ora ognuno, per parte sua, esclama: « È troppo ». I nostri ftlosofi dicono che non si tratta di una guerra tra uomini, di una lotta di fazioni e di passioni, bensi di un grande movimento dello spirito umano. Bisogna pren derli in parola e allora la rivoluzione diventa una grande esperienza della filosofia che perde la sua causa contro la politica. Rivoluzione viene dalla parola revolvere, che significa « mettere sottosopra ». I veri oratori delle grandi assemblee sono le passioni. La gioia degli altri sovrani, dinanzi alle sciagure dell'au gusta stirpe dei Borboni, e quella dei loro cortigiani, di nanzi alla miseria degli emigrati, è stata ineffabile. Fede rico diceva: « Noi re del Nord siamo solo dei gentiluo mini; i re di Francia, essi si sono dei gran signori ». Ce n'era abbastanza perché l'invidia spingesse all'odio e questo fors'anche a dei crimini. Nel 1789 le altre potenze europee erano come quei colo ni che a Parigi chiacchieravano sulla rivoluzione, senza prevederIa a Santo Domingo. All'inizio della rivoluzione, la minoranza ha detto alla maggioranza: « Sottomettiti »; in seguito, la maggioran za ha detto alla minoranza: « Siamo uguali », ed è stata una terribile vendetta. I francesi hanno anteposto la libertà alla sicurezza. Ep pure l'uomo abbandona le selve, dove la libertà prevale Voltaire ha sentenziato: più gli uomini saranno illumina ti, più diverranno liberi. I suoi successori hanno spiegato al popolo che quanto più fosse stato libero, tanto più sa rebbe stato illuminato, ed è questo che ha rovinato tutto. 72 73 La nobiltà ha dimenticato il principio: res eodem modo conservantur quo generantur. Così, i nobili hanno difeso il proprio spirito con la spada e la propria condizione sociale con la penna. C'è una singolare concordanza tra la rivoluzione ingle~ e quella francese: il Lungo Parlamento e la morte di Carlo Ij la Convenzione e la morte di Luigi XVI; e poi Cromwell e Bonaparte. Se ci sarà una restaurazione, ve dremo anche in Francia un altro Carlo II morire nel suo letto, un altro Giacomo II lasciare il suo regno e poi l'av vento di una dinastia straniera? Questa previsione è un'idea come un'altra, ma bisogna raccomandare la pre veggenza soprattutto ai governanti. Carlo I e Luigi XVI ne difettavano totalmente e perciò perirono sul patibolo, nonos.tante le loro virtù. Le virtù che si richiedono a un monarca non devono essere quelle di un privato cittadi no; un re onest'uomo, e che è soltanto questo, è davvero un povero re. Se Luigi XVI fosse morto il lO agosto, con le armi in pu gno, il suo sangue avrebbe ben altrimenti fecondato i gi gli di Francia. Invece, la morte sul patibolo, tra il silen zio del popolo, resterà sempre infamante per la nazione, per il trono, per la stessa immaginazione. Bonaparte compì realmente il 13 vendemmiaio ciò che Luigi XVI fu accusato falsamente di aver fatto il lO ago sto. Bonaparte succedette a Robespierre e a Barras, e questo non era difficile. Bonaparte regna per aver sparato sul popolo e per aver realmente compiuto il delitto di cui Luigi XVI fu falsa mente accusato. La Francia sprofondava, di precipizio in precipizio, verso l'abisso e si è arrestata aggrappando 74 si alle baionette di un soldato; un manipolo di soldati era sufficiente. D'altronde, Parigi era mutata, non c'era più un'opinione pubblica: la città era solo un grande co vo con una polizia. I nostri poeti hanno voluto trasformare Bonaparte in un Augusto, certi che, in tal modo, essi stessi sarebbero ben presto diventati dei Virgili e degli Orazio Bonaparte è meno intelligente e soprattutto meno coerente di Augu sto. I suoi discorsi gli hanno sempre nuociuto: fra le sue guardie avrebbe dovuto mettere un ufficiale del silenzio. Stanchi del proprio governo, i francesi presero a massa crarsi; stanchi di massacrarsi in patria, subirono il giogo di Bonaparte che li fece massacrare all'estero. La prova che Bonaparte è superiore a Lannes, Ney, Soult, Moreau, Bernadotte, è che costoro lo servono in vece di disfarsene. Un eccesso di potere, conferito improvvisamente a un cittadino in una repubblica, dà luogo a una monarchia o a qualcosa di più che una monarchia. Quando si succede al popolo nell'esercizio del potere, si è un despota. Bonaparte mal ripone i suoi odi e le sue amicizie: i regi. cidi e i rivoluzionari lo porteranno alla rovina, se egli continuerà a circondarsene. Bonaparte ha più potere che dignità, più appariscenza che grandezza, più audacia che genialità, ed è più facile congratularsi con lui· che 10 darlo. Se la rivoluzione fosse stata fatta durante il regno di Lui· gi XIV, Cotin avrebbe fatto ghigliottinare Boileau e Pra don non avrebbe risparmiato Racine. Con l'emigrazione 75 io mi sono sottratto all'ira di qualche giaeobino che ave vo incluso nel mio Almanacco dei grandi personaggi della Rivoluzione. Ogni filosofo che si occupa di questioni costituzionali partorirà un giacobino: è questa una verità che l'Europa non deve perdere di vista. I francesi hanno sempre avuto un debole per gli stranie ri, a riprova delle loro reciproche gelosie; lo testimonia no gli Ornano, i Broglio, Rose, Lowendhal, Saxe, Nec ker, Besenval, Bonaparte. La politica è come la sfinge del mito: divora tutti coloro che non spiegano i suoi enigmi. Il dispotismo di Tito, di Traiano e di Mare' Aurelio era grande quanto quello di Tiberio, di Nerone e di Domi ziano. Con un semplice cenno del capo muovevano il mondo conosciuto, dall'Eufrate al Danubio: erano de spoti, ma non tiranni. Su questo Montesquieu si è sba gliato. Nel 1790 mi chiesero come sarebbe andata a finire la ri voluzione. Risposi molto semplicemente: «O il re avrà un esercito o l'esercito avrà un re ». E aggiunsi: « Qual che soldato conoscerà la felicità, perché le rivoluzioni fi niscono sempre a sciabolate: ricordate Silla, Cesare, Cromwell ». I coalizzati sono sempre stati in ritardo di un anno, di un'armata e di un'idea. La terra è il piano sul quale si disegna il corpo politico. Perché uno Stato tocchi il punto più alto della sua gran dezza relativa, bisogna che ci sia un'equazione tra la po polazione e il territorio. Nell' America settentrionale il territorio eccede la popolazione e lo Stato non ha ancora acquisito il più alto grado della sua potenza. In Europa, dove c'è un'equazione perfetta tra territori e popolazio ni, gli Stati sono giunti al grado più alto di potenza. In Cina, dove la popolazione è in eccesso e il territorio in difetto, lo Stato è in declino. I corpi politici si riprendono sempre dalle loro malattie e vivono a furia di medicine. Il corpo politico è come un albero: quanto più s'innalza tanto più ha bisogno sia del cielo sia della terra. Un popolo senza territorio e senza religione morirebbe, come il gigante Anteo sospeso tra cielo e terra. Sarebbe piacevole vedere un giorno i nostri filosofi e apostati seguire a messa Bonaparte, digrignando i denti, e vedere i repubblicani costretti a inchinarsi davanti a lui. Proprio loro che avevano giurato di uccidere il pri mo che si fosse impadronito del potere! Sarebbe bello che Bonaparte creasse delle onorificenze, decorandone gli altri re; che creasse dei prìncipi e si alleasse con qual che antica dinastia ... Guai a lui, però, se non restasse sempre vincitore! I sovrani non devono mai dimenticare che, essendo i po poli sempre fanciulli, il governo deve sempre essere un padre. 76 77 L'oro è il re dei re. Alla persona dei re capita lo stesso che alle statue degli dei: i primi colpi distruttivi sono rivolti proprio al dio, gli ultimi cadono soltanto su un marmo sfigurato. La guerra è il tribunale dei re e le vittorie sono le sue sentenze. sono le loro caratteristiche comuni, mentre le differenze sono impercettibili. Per la plebe non c'è alcun secolo dei lumi. La plebe non è né francese, né inglese, né spagnola. La plebe è sempre e dovunque la stessa: è sempre in preda a istinti canni baleschi e antropofagi, e, quando compie le sue vendette sui suoi governanti, punisce dei delitti che non sempre sono accertati con atti che sono sempre, certamente, cri minosi. Solo il timore, che è la più potente delle passioni, può assicurare l'esistenza e la durata del corpo politico; quando è reciproco, tra il popolo e il re, ne assicura an che la felicità. Infatti, se il popolo teme il re, non c'è ri bellione, e se i re temono i popoli, non c'è oppressione; ma quando il timore è solo una parte, allora c'è sempre anarchia o dispotismo. Quando il popolo è più illuminato del trono, allora è as sai vicino a una rivoluzione. È ciò che accadde nel 1789, quando il trono, in mezzo ai lumi, si trovò eclissato. I paragoni che, in materia politica, richiamano le imma gini del gregge e dei pastori non hanno alcun valore, perché manca ogni analogia: la religione si è impadroni ta di questa metafora, perché in essa è questione di un Dio che si prende cura degli uomini. Un pastore attor niato dalle pecore non è altro che un uomo prowisto di molti mezzi di sostentamento: ma non è questa un'im magine pertinente alla regalità. A proposito degli agitatori: quando Nettuno vuoI placa re le tempeste, non si rivolge alle onde ma ai venti. Se si avesse in un governo la stessa fiducia che si ha nella Prowidenza, sarebbe giusto che, sul modello di questa, quel governo assumesse una forma dispotica. In un impero grande e complesso, se il governo vuole che il popolo abbia i suoi rappresentanti, accade che questi siano o gli amici della forma di governo già esi stente - e allora il popolo li considera suoi nemici _ o i nemici di questa; e, in tal caso, si ha la rivoluzione. Il corpo politico soffre quando i re agiscono come pro prietari e i proprietari e il popolo come sovrani. In ogni Stato, le città di frontiera godono di minore li bertà rispetto alle città dell'interno: infatti, la sicurezza è tanto più importante della libertà. Come ho già detto, il corpo politico ha dei bisogni, dei diritti e dei poteri; ma, tra questi tre prindpi, la corri spondenza è tale che il popolo non ha mai diritto a ciò che non rientra nella sfera del suo potere: dunque, poi ché il popolo non può essere riunito in assemblea e non può trovarsi unanime, segue che esso non può delibera re, non può scegliere la forma di governo e non può es sere sovrano. Agli occhi della natura, tra due uomini come Voltaire e un portatore d'acqua, ciò che è ammirevole ed essenziale Nelle forme di governo rappresentative, bisogna in pri mo luogo che tutti i delegati si radunino in un'unica sala, qualunque sia l'estensione dell'impero; in secondo luo 78 79 go, che la maggioranza della nazione possa costantemen te trovarsi in minoranza nell'assemblea. Del resto è la maggioranza parlamentare che governa. Hanno reso costituzionale l'insurrezione; ma la febbre non è costituzionale nell'uomo. Essa è spesso inevitabile, ma bisogna sempre respingerla. Soltanto la natura ha sempre congiunto nelle proprie leggi la punizione e il premio: infatti i sudi precetti sono anche inclinazioni. Il corpo sociale non può essere. così perfetto: le sue leggi minacciano e castigano. Poiché i principi sono la parte visibile del governo, è ne cessario che la loro vita privata, i loro giochi, i loro scherzi e costumi siano noti solo a quanti sanno com prendere le finzioni sociali. Il popolo deve ignorare tutto questo. La stessa cosa vale, a maggior ragione, per i pa pi. Benedetto' XIV, amato dall'élite spirituale, non era fa moso presso il popolo romano. Con le parole ordine e lIbertà si condurrà e si riporterà sempre il genere umano dal dispotismo all'anarchia e dall'anarchia al dispotismo. A Luigi XIV, che gli chiedeva l'ora, un cortigiano rispose: « Sire, è l'ora che piace alla Vostra Maestà ». Nella famosa vicenda deI collier vi furono due colpevoli: Madame de La Mothe e Monsieur de Breteuil. La prima per intrigo e per bisogno, il secondo per vendetta. Vi fu rono anche due vittime: la regina e il cardinale; ma la re gina fu la più innocente. lo, che suscitava le simpatie altrui, e senza ~sere una perfetta nullità, il che vi rendeva sopportabile. Oggi la moda di parlar male dei principi è così diffusa che, quando si parla bene di loro, si passa per uno che li conosce intimamente. Se è vero che Rousseau scriveva per abbattere la monar chia, si poteva però anche dire che volesse, con i suoi scritti, suggerire alla nobiltà emigrata degli espedienti per sopravvivere, perché insegnava al gentiluomo il me stiere deI falegname. La prima Assemblea tolse il regno al re, la seconda tolse il re al regno, la terza uccise l'uno e l'altro. L'Assemblea costituente asservì il re, Parigi e l'esercito; Parigi asservì l'Assemblea; i giacobini decimarono Parigi, l'esercito e l'Assemblea. L'Assemblea Costituente uccise la regalità e, per conse guenza, il re; la Convenzione non uccise che l'uomo. La prima fu regnidda e l'altra pa"idda. Poiché la vittima era pronta, ai giacobini restò soltanto da sollevare la mannaia. Come re, Luigi XVI meritò le sue disgrazie, perché non seppe fare il suo mestiere; come uomo, invece, non le meritò. Ma proprio le sue virtù lo resero estraneo al suo popolo. Un esercito che viene impiegato per asservire è già esso stesso asservito. Il martello riceve tanti colpi quanti l'in cudine. Negli ultimi tempi, alla corte di Francia, non si poteva più avere successo senza possedere qualche tratto ridico Luigi XIV aveva così ben ordinato tutte le parti della suà amministrazione che le illuminanti disposizioni deI suo 80 81 regno perduravano ancora nel 1789. Le sue ordinanze, le memorie degli intendenti e degli uffici lo dimostrano. I nostri primi funzionari, tutti di così alto livello, viveva no delle tradizioni dei suoi. Durante la rivoluzione la no stra amministrazione divenne, invece, una foresta nella quale tutti derubavano senza timore e senza pudore: da ciò sono nate fortune così ingenti che danno perfino la nausea. Come Didone così i popoli possono piangere per aver visto la luce. Lo scopo di ogni governo è la conservazione della socie tà, e il fine di quest'ultima, da quando si è costituita, non è stato e non può essere altro che di garantire la sicurez za e la proprietà. Questa definizione chiara, precisa e completa non avrebbe dato luogo ad alcun equivoco se non vi si fosse introdotta a sproposito, e in forma pleo nastica, questa parola ambigua e controversa che è la li bertà. Se dopo la Lega non avessimo avuto un re padrone, sa rebbe stata la fine per la casata dei Borbone. La Fronda poteva diventare molto seria, ma il giovane re cresceva per poi diventare un grande re e tutto rientrò nell'ordi ne. Di quale Borbone non ci sarebbe bisogno dopo la nostra terribile rivoluzione? Perché, prima o poi, la le gittimità riporterà i re sui troni e ucciderà Bonaparte. inutilmente: la sciocchezza merita sempre le sue sfor tune. In Francia, il corpo politico ha bisogno d'un padrone più che in ogni altro Paese. La sovranità del popolo uc ciderà tutti i re, se essi continuano a tenere il diadema sugli occhi invece che sulla fronte. Si può paragonare la società a un teatro; si occupano i primi palchi, solo perché si paga di più. Quando Montesquieu ha detto: «Nessuna monarchia senza nobiltà », è caduto in un notevole infortunio, per ché ha lasciato nel vago e nell'arbitrario questa espres sione. Ha così seminato il germe di una disputa. Inten deva forse una nobiltà dotata di poteri o una nobiltà che ha solo cariche onorifiche? Per la nobiltà non vi sono che quattro maniere di esiste re: da sovrana come in Germania, da feudale come in Polonia, da costituzionale come in Inghilterra, da casta sacra come in India. In Francia e in Spagna la nobiltà era soltanto una condizione piacevole. Letteratura Qualche volta le corti si affidano ai letterati, come gli empi che invocano i santi nel pericolo, ma altrettanto Anche lo spirito più sobrio non parla senza metafore e quando sembra astenersene di proposito è perché le im magini di cui si avvale, essendo vecchie e abusate, non colpiscono né lui né i lettori. Si può dire che Locke e Condillac, l'uno più impegnato a combattere gli errori, l'altro a stabilire delle verità, siano entrambi privi del potere segreto dell'espressione, di questo felice potere 82 8.3 Noi viviamo in un tempo in cui l'insignificanza protegge più della legge e rassicura più dell'innocenza. che hanno le parole di imprimersi così profondamente nell'attenzione degli uomini, squarciando la loro imma ginazione. Saremo loro grati per questa impotenza? Di remo che essi temono di farsi leggere con troppi abbelli· menti o che lo stile senza metafore è parso loro conve niente alla severità della metafisica? Potrei anzitutto di mostrare che non esiste uno stile davvero diretto e senza metafore, che Locke e Condillac facevano uso di meta fore loro malgrado e a loro insaputa, che infine essi han no spesso cercato la metafora e le similitudini, e si vede con quale risultato; ma non è questo il mio scopo. Il no stro grande modello, la natura, è forse senza immagini, la primavera è forse senza fiori e i fiori e i frutti sono for se senza colori? Aristotele ha reso un'eccellente testimo nianza a favore dell'immaginazione, tanto più disinteres sata in quanto lui stesso ne era privo mentre Platone, suo rivale, ne era riccamente provvisto. Le belle immagi ni feriscono solo l'invidia. Capita talvolta che l'uomo, abbandonandosi alle abitudi ni e ai meccanismi dell'istinto, agisca e parli senza l'io: il suo corpo si muove senza il controllo dell'attenzione, co me un vascello senza pilota, per i soli effetti automatici della sua complessione. In tal caso l'uomo è diviso tra i suoi movimenti e le idee ad essi estranee. Poi c'è come un primo ordine e un movimento iniziale, che non han no bisogno di essere ripetuti perché il corpo continui a obbedire. Ogni uomo che osservi se stesso mentre cam mina, parla e scrive, conosce bene questi ordini anterio ri, che tutta la rapidità del contrordine impartito dalla riflessione non potrebbe prevenire. Questo spiega la dif ferenza che c'è tra l'uomo che parla e l'uomo che scrive, poiché chi parla si esprime in una dimensione più este riore rispetto a chi scrive. Il giudizio cosciente impedisce 84 che si scriva come si parla, mentre la natura stessa ci im pedisce di parlare come se scrivessimo; il gusto, invece, posa la brillantezza della conversazione con le forme metodiche e depurate dello stile scritto. Si può paragonare il sistema della creazione a quello del linguaggio: ogni discorso si riduce alle frasi, la frase alle parole, la parola alle lettere; non ci sono divisioni ulte riori, perché gli elementi della parola sono indivisibili. Così pure, nella realtà fisica, pervenuti alle sostanze ele mentari non si può procedere a ulteriori divisioni. La so la differenza tra il sistema fisico del mondo e illinguag gio è che gli elementi posseggono delle affmità che li guidano sempre verso le stesse aggregazioni; di contro, le lettere dell'alfabeto non si attraggono tra di loro, ma le loro combinazioni sono in balla della volontà umana, e questo spiega la diversità delle lingue. Se le vocali e le consonanti si attirassero in virtù di leggi determinate, come gli elementi, la lingua sarebbe unica e fissa come l'universo. L'uomo non poteva dare al suo pensiero che una veste assai elaborata. Quanta finezza, quanta intelligenza, qua le sottile metafisica nella creazione di una lingua! Il filo sofo se ne accorge, soprattutto quando voglia dipanare quei fili misteriosi con i quali l'uomo ha voluto rivestire il suo pensiero, come il baco da seta si avvolge nella sua trama lucente. La parola è il pensiero esteriore, il pensiero è la parola interiore. La lingua è uno strumento di cui non bisogna far stride re le corde. 85 Nelle lingue la storia conia le proprie medaglie. La grammatica è l'arte di levare le difficoltà da una lin gua; bisogna dunque che questa leva non sia più pesante del carico. La nazione più vivace e allegra d'Europa ha avuto un gioco, una danza e una musica in contrasto con questi caratteri: il picchetto, il minuetto e i nostri canti antichi. Sta forse in ciò la spiegazione del fatto che Racine, di temperamento allegro, compose tragedie, mentre Moliè re, di carattere triste, scrisse commedie? Nell'uomo come nel linguaggio tutto è misura. Non si può dire: «Ho visto una pulce tutta distesa », sebbene quest'espressione, dal punto di vista logico, sia vera tan to per una pulce quanto per un vitello. È ridicolo intitolare un libro Storia filosofica o Esame im parziale ecc. Saprò ben giudicare se la tua storia sarà fi losofica, se il tuo esame sarà imparziale. Tu metti un giu La parola« caro» ha qualcosa di dolce e insieme di vol gare: è l'espressione dell'amore e dell'avarizia, e sembra suggerire che ciò che vale per la borsa vale anche per il cuore. Chi ha l'abitudine di scrivere, lo fa anche senza idee, co me quel vecchio medico, di nome Bouvard, che in punto di morte tastava il polso alla sua poltrona. Si può dire che nei dizionari vi siano certe parole con sunte che attendono un grande scrittore per riprendere tutto il loro smalto. dizio al posto del titolo. Alla fine, in letteratura, tutto diviene luogo comune. In letteratura le apparizioni repentine non piacciono e le menti più brillanti hanno bisogno di un crepuscolo. Nel dizionario dell' Accademia non si può trovare ciò che non si sa, ma non si trova neppure ciò che si sa. Non si deve fare troppo affidamento sulla sagacia dei lettori; qualche volta bisogna spiegarsi. La parola « precario» significa oggidi una cosa o uno sta to poco sicuri e dimostra quanto poco si ottenga con la preghiera, visto che « precario» deriva da « preghiera ». Non c'è nulla di così assente come la presenza di spirito. La pittura non ritrae che una movenza dei personaggi, un incidente dell'azione, un istante del tempo; il pittore non dispone che di un luogo, il poeta ha invece lo spazio a sua disposizione. OsselVate i grandi scrittori: hanno dominato solo per la forza dell'espressione. J.J. Rousseau ha messo a tacere la fama di tutti coloro che prima di lui avevano scritto sui doveri della maternità. Il genio soffoca tutti i prede cessori. Il creatore dell'alfabeto ha messo nelle nostre mani il filo dei nostri pensieri e la chiave della natura. 86 87 La grammatica è la fisica sperimentale delle lingue. I segni sono la moneta delle percezioni. Solo i letterati hanno un alone di notorietà che può ga reggiare con lo splendore del trono. I sovrani non devono mai dimenticare che uno scrittore può essere reclutato tra i soldati, ma non certo un gene rale tra i lettori. La stampa .è l'artiglieria del pensiero. Un libro che viene sostenuto è un libro che cade. In poesia bisogna spogliarsi del vecchio uomo. È un gran vantaggio non aver fatto niente, ma non biso gna abusarne. L'arte deve darsi uno scopo che retroceda senza fine. Parigi è la città in cui più che altrove si ignora il valore e spesso perfino l'esistenza di una marea di libri. Bisogna essere vissuti in provincia o in campagna per avere letto molto. A Parigi lo spirito si alimenta e si rafforza nella vorticosa sfera degli avvenimenti e delle conversazioni; in provincia ci sono solo le letture. Perciò bisogna sce gliersi gli uomini nella capitale e i libri nella provincia. A Parigi l'opera più rinomata non s'impone a nessuno o non s'impone a lungo: si sa ben presto a quale partito aderisca l'autore, quali siano i suoi protettori e fautori; d'altronde le idee diffuse nei circoli colti dissipano le il lusioni in cui potrebbero gettarci i giornalisti; lo stesso amor proprio degli autori non viene tratto in inganno. 88 Invano le trombe della celebrità. hanno proclamato quel la prosa o quei versi: ci sono sempre, nella capitale, tren ta o quaranta persone incorruttibili che tacciono. Que sto silenzio delle persone di gusto serve da coscienza ai cattivi scrittori e li tormenta per il resto della loro vita. Ma quando un libro esaltato su tutti i giornali e appog giato da un forte partito giunge in provincia, l'illusione è completa, soprattutto per i giovani. Qui le persone di gusto si stupiscono di non stupirsi e la voga di un'opera cattiva fa vacillare la loro. ragione; gli altri si immaginano che Parigi rigurgiti di grandi talenti e che noi, in lettera tura, abbiamo solo l'imbarazzo della scelta. Nel poema Jardz'ns il poeta si è impegnato a rendere pre gevole ogni suo verso senza pensare che a farne le spese era l'opera intera. Dalla traduzione delle Georgiche Delille è uscito mal concio come Giacobbe dopo la lotta con il Signore. In questa traduzione gli unici versi buoni sono le cicatrici sanguinanti di Virgilio. Delille è Virgilio abate. Mirabeau, alla tribuna, assumeva la posa della statua di Lord Chatam, e un giorno approfittò dello scherzo di un ragazzo per trarne spunto per una delle sue arringhe. Cosa pensare dell'eloquenza di un uomo che ruba i pro pri gesti a un morto e le parole a un bambino? Le opere di Mirabeau sono brulotti lasciati in mezzo a una flotta: vi appiccano il fuoco, ina si consumano. Fin qui si annoveravano tre specie di stile: l'umile, il me dio, il sublime, ingenuamente classificati nei trattati di 89 retorica; ma noi siamo costretti ad ammetterne un quar to dopo la comparsa degli scritti di Necker: è lo stile mi nisteriale. Il Tableau de Pari! di Mercier è un'opera pensata nella strada e scritta su un paracarro. L'autore descrive gli scantinati e il pianoterra, ma omette il salotto. Il gradimento che i .francesi hanno manifestato per un momento verso i drammi di Mercier mi ricorda quei convitati che, alla fine d'un eccellente pasto, chiedono dell' acquavite. Champcenetz il vecchio è un uomo misteriosissimo: non entra in una casa, vi si insinuai scorre dietro le poltrone e si ferma in un cantuccio, e quando gli si chiede come sta, mormora: «Tacete! Sono forse cose da dire ad alta voce? » Cerutti compone frasi scintillanti: è la lumaca della lettec ratura. Lascia dovunque una scia argentata, ma non è che schiuma. Ci sono autori che hanno scritto dei libri muovendo da una o due sensazioni soltanto; uno di questi è Young con La notte e il silenzio. Condorcet scrive con inchiostro d'oppio su lastre di piombo. Filosofia I nobili di oggi non sono che i fantasmi dei loro ante nati. Palissot, transfuga ora della religione e ora della filoso fia, assomiglia a quella lepre che, messasi a correre tra due eserciti pronti allo scontro, suscitò il riso universale. I re di Francia sollevavano i loro sudditi da una condi zione plebea allo stesso modo in cui li guarivano dalla scrofola: a condizione, cioè, che ne restassero delle tracce. Lo stile di La Harpe è pulito senza essere splendido. Si vede che è stato brunito. Certi parvenu, lacchè arricchitisi con le malversazioni, hanno compiuto il salto da fuori a dentro la carrozza, senza neppure passare per la strada. 90 L'idea fondamentale del giudaismo è che Dio ha preferi to gli ebrei a tutti i popoli. In virtù di questa sola idea Mosè innalzò un muro di bronzo fra la sua nazione e tutte le altre; anzi, fece ancora di più, perché condannò questo popolo sciagurato a una vera e propria scomuni ca da parte dell'intera umanità; ed è sorprendente che, a causa di quest'odio universale, gli abbia assicurato l'im mortalità. L'amore o anche l'indifferenza degli altri po poli avrebbero fatto scomparire gli ebrei da molto tem po, poiché essi si sarebbero confusi con le altre razze at traverso i matrimoni, le conquiste e la dispersione; ma quest'odio del genere umano li ha conservati, ed è grazie ad esso che gli ebrei sono davvero imperituri. Gli ebrei dicevano a Dio: « Signore, fai tutto per i vivi, perché nulla puoi aspettarti dai morti: non mortui lauda bunt te, Domine ». 91 !t,. !'\~ La devota crede ai preti, l'irreligiosa ai filosofi; entrambe' sono credulone. Attribuendo agli dèi le debolezze umane, i poeti hanno destato il nostro interesse più che se avessero conferito agli uomini le perfezioni divine. La maggior parte delle persone empie che io conosco non sono altro che devoti che si sono ribellati. Il martiré di una religione vecchia sembra un ostinato; quello di una religione nuova un ispirato. Le visioni hanno un istinto felice: caphano solo a coloro che devono crederci. In generale, i bambini e i giovani concepiscono più age volmente la realtà dei corpi, gli adulti e i vecchi quella dello spirito. Queste due inclinazioni sono parimenti na turali. Infatti, i primi hanno uno spirito ancora debole in un corpo vigoroso; i secondi possiedono uno spirito più saldo in un corpo che sta declinando. Negli uni domina no le sensazioni, negli altri le idee. turalista Plinio osservano una pernice; oppure, quando tuona, considerate l'atteggiamento di un superstizioso e quello di uno scienziato: l'uno ricorre alle reliquie, l'altro al parafulmine. L'avaro si burla del prodigo e il prodigo dell'avaro; al trettanto fa l'incredulo con il devoto e il devoto con l'in credulo: si prendono per sciocchi gli uni con gli altri. La differenza tra le passioni e le idee risulta evidente nel frammento di dialogo che sto per citare. A Voltaire, nei Campi Elisi, viene detto: «- Voi dunque volevate che gli uomini fossero uguali? - Sì. - Ma sapete che per ottenerlo c'è stato bisogno di una spaventosa rivoluzione? - Non importa - ». In questo caso si parIa con le sue idee. «Ma sapete che il figlio di Fréron è diventato proconso le e che saccheggia le province? - Ah per Dio! Che orrore! -.» Cosi si parla alle suepas sionÌ.· La semplice differenza fra le sensazioni e le idee ne pro duce una grandissima tra gli uomini. Considerate con quale diversità di sguardo il buongustaio Apicio e il na L'attenzione è solo un sentimento tenuto vivo tanto nel corpo che nello spirito: si guarda, si ascolta, si gusta, si maneggia, si pensa attentamente. È a questo potere che dobbiamo riferire le cause della nostra superiorità sugli animali e delle differenze tra gli uomini. Ma non bisogna credere, con Helvétius e CondilIac, che l'attenzione di penda interamente da noi, né, soprattutto, che essa pro duca gli stessi effetti in due uomini ugualmente attenti. In quante persone la riflessione e l'attenzione più pro fonde non producono nulla, senza contare poi quelli che ne ricavano soltanto errori. 92 93 Non solo non bisogna cercare di definire ciò che cade direttamente sotto i sensi, ma, al contrario, ci si deve servire delle realtà sensibili per definire le entità intellet tuali. La materia, il movimento, il riposo e tutte le nozio ni degli oggetti esterni servono a comprendere tutto ciò che non parla direttamente ai nostri sensi. I bambini, dei quali è cosÌ difficile catturare l'attenzione, prorompono in esclamazioni, amano il frastuono, cerca no di stare in gruppo; fanno di tutto per accorgersi della propria esistenza assommando sensazioni, perché il loro interno è ancora vuoto. Si può dire altrettanto del popo lo in generale. Solo gli uomini abituati a riflettere amano il silenzio e la calma; la loro esistenza è una sequela di idee, il loro movimento è interiore. Per questa ragione gli aneddoti attraggono la mente dei vecchi e divertono i bambini e le donne: nei racconti vi è solo il filo della storia che fissa il sentimento e tiene viva l'attenzione. Invece, una sequenza di ragionamenti e di idee richiede tutta la vivacità mentale d'un'uomo. Signora degli elementi e della materia, la natura opera dall'interno verso l'esterno; essa si sviluppa nei suoi pro dotti, e noi chiamiamo forme i limiti in cui si arresta la sua attività. L'uomo invece non lavora che dall'esterno; il fondo gli sfugge senza posa: egli vede e tocca soltanto forme. L'uomo sulla terra non ha ricevuto provviste per l'im mortalità: è un viandante che finisce con la sua strada. Se, per un concorso di cause assai raro, il suo viaggio si prolunga, ecco che il tesoro di sensazioni e di piaceri, di ricordi e di idee si esaurisce e l'uomo, viandante spoglia to dei suoi beni, si perde e si spegne nel deserto. sa attende l'omaggio della loro sottomissione e non le ar ringhe della loro eloquenza. La memoria obbedisce sempre al cuore. I metodi sono le abitudini dello spirito e le economie della memoria. L'identità del fine è la prova del senso comune, che uni sce gli uomini; la differenza dei mezzi è la misura delle intelligenze; l'assurdità del fine è il segno della follia. I bambini gridano o cantano tutte le loro richieste, acca rezzano o rompono tutto ciò che toccano e piangono ogni cosa che perdono. . Della storia la ragione è narratrice, le passioni sono at trici. Ci saranno sempre due mondi soggetti alle speculazioni dei filosofi: quello della loro immaginazione, dove tutto è verisimile e niente è vero, e quello della natura, dove tutto è vero senza che niente appaia verisimile. Non si ha diritto a una cosa impossibile. La natura ha posto l'uomo sulla terra dandogli capacità limitate e desideri sconfinati: è questa eccedenza, questo impulso, che ci spinge al di là della meta, che trasforma i bisogni in desideri e i desideri in passioni; e forse non sarebbe stato abbastanza forte se non fosse stato violen to. Ma è compito degli uomini giustificare la natura? Es La natura ha donato all'uomo due potenti organi: quello della digestione e quello della generazione. Per mezzo del primo ha assicurato la vita all'individuo, tramite l'al tro l'immortalità alla specie. Ed è tale in noi il ruolo del lo stomaco che i piedi e le mani non sono che schiavi la boriosi al suo servizio e perfino la testa, di cui siamo così fieri, altro non è che un suo satellite, più illuminato degli altri: è la lanterna dell'edificio. 94 95 Non si può fare la storia delIa natura. Se ogni giorno in dossassi una maschera, chi avesse disegnato tutte le mie maschere non avrebbe ancora fatto il mio ritratto. La natura mirabile ha voluto che gli uomini avessero in comune l'essenziale, e che le differenze fossero di poco conto: è però vero che ciò che gli uomini hanno di di verso modifica assai ciò che hanno di simile. quale egli grida: « Satira, non awicinarti, perché il fuoco brucia ». Ma con dò ha spiegato malamente l'allegoria, perché il satira, che si trova ancora distante, non è colpi to che dalla luce. Bisognava dunque gridargli: « Non av vicinarti, perché la luce bruda », ed è appunto di questo che si trattava. I nostri filosofi hanno dunque portato la luce ai nostri satiri, senza pensare che la luce brucia. C'è bisogno d'intelligenza non per attaccare le religioni, L'uomo è l'unico animale che accenda il fuoco, e questo gli ha dato l'impero del mondo. Coloro che chiedono dei prodigi non sospettano di chie dere alla natura l'interruzione del suo corso prodigioso. I nostri bisogni si fondano sulle proporzioni. Poiché questo mondo è un complesso armonico, e dunque fon dato sulle proporzioni, la sensibilità, nel senso di com passione, non rientra affatto nel piano della natura. Era necessario che la natura conferisse durata all'indivi duo o alla specie. Essa ha seguito il primo piano per il sole e gli astri, e il secondo per gli animali e le piante. Ora, in quest'ultimo caso, era ben necessario che le for me individuali fossero passeggere, perché alla specie re stasse l'immortalità. Vero filosofo è colui che si pone, con il solo sforzo della ragione, là dove la maggioranza degli uomini giunge solo con il favore del tempo. ma per fondarle e mantenerle; poiché tutti gli epigram mi contro Gesù Cristo vanno bene. Quanto al coraggio, il filosofo non ne ha bisogno più dell'apostolo e spesso neppure in egual misura. « Nel dubbio astieniti »: se questa parola di un saggio è la più bella massima della morale, essa è anche la prima della metafisica. I fùosofi hanno battuto tutte le strade dell'errore, spie gando talvolta le apparenze mediante la realtà e talvolta la realtà mediante le apparenze. Cicerone aveva notato che non c'era niente di cosi assurdo che non fosse già stato detto da qualche filosofo. Non si sragiona mai cosi tanto come quando si ha molta ragione da perdere. Allo stesso modo non d si rovina mai cosi tanto come quando si posseggono molte ric· chezze. Il devoto crede alle visioni altrui, il filosofo crede solo alle proprie. La più bella risorsa dello spirito umano, che consiste nella capacità di creare nomi collettivi, è stata la causa di . quasi tutti i suoi errori. Rousseau ha fatto incidere sul frontespizio delle sue ope re politiche un satira che si awicina a una fiaccola e al Bisogna che la ragione sorrida e non si arrabbi, come già faceva Socrate con la sua ironia. Pascal, invece, ha me· 96 97 scolato i due modi. Dio stesso, dopo aver condannato Adamo al lavoro e alla donna, gli si rivolse con ironia: « Ecce Adam factus sicut unus ex nobis. Ecco dunque Adamo divenuto simile a un dio ». Guardate i frutti che cadono prima del tempo: hanno una falsa maturità, un falso colore, una falsa dolcezza che ci traggono in inganno. All'opposto, i frutti che de vono ancora maturare per tutta la durata della bella sta gione sono aspri e acerbi. Allo stesso modo, osservate i ragazzi che muoiono prima di diventare adulti: maturano di colpo, i loro ge sti, le loro parole, i loro sguardi sono di un'altra età; spesso destano stupore per un tratto morale che non ha più niente dell'infanzia. Al contrario quelli che devono diventare adulti hanno un'infanzia lunga e turbolenta. A completamento di questa analogia si osservi che i genito ri lasciano i propri figli quando sono grandi e gli alberi i propri frutti quando sono maturi. Niente stupisce quando tutto è stupore: è lo stato del l'infanzia. Gli sciocchi, i contadini e i selvaggi si ritengono molto più distanti dagli animali di quanto non creda il filosofo. Per quale ragione? Il movimento tra due stati di quiete è l'immagine del presente tra passato e futuro. Il tessitore che lavora alla sua tela fa sempre ciò che non è. Come i nostri occhi sono colpiti dalle immagini degli og getti e non dagli oggetti stessi, coslle nostre anime lo so no dalle opinioni sulle cose e non dalle cose stesse. 98 L'indolenza, in certi spiriti, altro non è che nausea per la vita; in altri è disprezzo. Si, tutto è votato all'oblio, a questo tiranno muto e cru dele che segue dappresso la gloria e davanti ai suoi occhi ne divoragli amanti e i favoriti. Che dico? La stessa glo ria, essendo soltanto rumore, cioè agitazione dell'aria, è sospesa come l'atmosfera intorno al globo e il suo flusso cambia senza posa, trascinando i nomi e le notorietà e fi nendo per disperderli. Nell'antichità vi sono due grandi tradizioni, non suffi cientemente poste in rilievo: Satana, il primo degli ange li, vuole detronizzare il suo benefattore; il frutto della scienza del bene e del male procura la morte. La prima insegna che l'ingratitudine è connaturata a ogni creatu ra, l'altra che i lumi non rendono felici i popoli. Le persone straordinarie tengono in gran conto le cose comuni e usuali, mentre le persone comuni amano e cer cano soltanto le cose straordinarie. Capita per le sciagure come per i vizi, dei quali tanto meno si arrossisce quanto più li si condivide con la mag gior parte delle persone. L'emigrazione mi ha dimostrato - e in essa la disgrazia toccava il colmo - che gli infelici traevano tutta la propria consolazione dal loro numero. Annullare le differenze produce confusione; spostare la verità produce l'errore; esagerare l'ordine produce il di sordine. La vera filosofia sta nell'essere astronomi in astronomia, chimici in chimica e politici in politica. L'uomo non gode mai di una completa libertà, ma sol tanto di una libertà di secondo grado. Per esempio, è li 99 bero di mangiare questo o quell'altro cibo, ma non è li bero di non mangiare affatto. za? In voi e non in lui. La grandezza d'un uomo è come la sua reputazione: vive e respira sulle labbra degli altri. È sempre libero colui che, sia pure costretto, agisce per il proprio bisogno, come un valletto che per vivere si po ne al servizio d'altri; ma è sempre schiavo colui che è co stretto a compiere ciò di cui non ha alcun bisogno. Ciò che rende gli uomini di mondo a un tempo mediocri e raffinati è il fatto che si occupano molto delle persone e poco delle cose: accade il contrario negli uomini di piu alto rango. Lo spettacolo dei malvagi ha formato le persone oneste, come il ridicolo ha creato la gente di buon gusto: jura inventa metu injusti. Gli uomini di mondo impiegano il loro tempo libero meglio che le loro giornate; i poveri non hanno tempo libero. Quando si vuole avere ragione ventiquattr'ore su venti quattro davanti a tutti, si passa per uno che è privo di senso comune in tutto l'arco della giornata. Le passioni si esprimono in modi diversi: vi sono uomini che non solamente confessano i loro vizi, ma se ne van tano; altri, invece, li nascondono con cura; gli uni vanno in cerca di compagni, gli altri di gonzi. Non sempre il più grande egoista ammette il proprio egoismo, come il più gran ghiottone non è colui che prorompe in escla mazioni davanti a' un buon piatto, ma colui che lo assa pora in silenzio per paura che tutti gliene chiedano un assaggio. La fatalità o predeterminazione sta nelle cose, non nelle persone. È fatale che ogni corpo che passerà su quel pia no inclinato scivoli e cada, ma non lo è che vi passi que sto o quell'altro uomo. La paura è la passione più terribile perché si dispiega contro la ragione; essa paralizza il cuore e la mente. La distrazione è il frutto di una grande passione o di una grande insensibilità. Si ha un'idea più giusta di qualcosa quando la si possie de che quando la si desidera: da ciò segue che il solda to e il ladro sono più coraggiosi del proprietario. L'uo mo infatti ha più ardimento per conquistare che per conservare. Ribellarsi contro i mali inevitabili e sopportare quelli che si possono evitare è un gran segno di debolezza. Che di re d'un uomo che si spazientisce contro il maltempo e che sopporta pazientemente un'ingiustizia? Gli uomini hanno posto sullo stesso piano gli individui di cci si sono fatti una grande idea, quelli che hanno da to loro grandi idee e quelli che hanno compiuto grandi cose o prodotto grandi avvenimenti. Pensate che quel grand'uomo è soggetto a tutte le vostre piccole passioni: è timido o insolente, avaro o bugiarcfo proprio come voi. Dove poggia dunque la sua grandez Vi sono uomini cosi facili da impensierire, cosi poco in clini a usare il loro buon senso e tuttavia cosi ostinati da riporre la propria onestà nel dubitare di quella altrui. 100 101 Niente rende cosi infelici come attenersi alle regole, ai prindpi o alle condizioni di uno stato sociale diverso dal proprio. Un selvaggio che avesse la nostra cultura oppu re un cittadino che avesse l'ignoranza del selvaggio sa rebbero ugualmente infelici. Quando ci si propone uno scopo, il tempo, invece di au mentare, diminuisce. Tutti si agitano per trovare infine la quiete, ma ci sono uomini cosi indolenti che mettono la fme all'inizio. Ciò che, in genere, è orribile a questo mondo è che noi cerchiamo con lo stesso accanimento di diventare felici e di impedire agli altri di esserlo. Molti uomini scagliano su di noi uno strale a ogni sguardo. L'ambizione e la voluttà parlano spesso la stessa lingua. Cesare confessava, quand'era all'apice dell'umana gran dezza, che le preghiere gli solleticavano le orecchie. Ho conosciuto una donna che diceva al suo amante: «Ah, imploratemi come si deve!» I principi nuovi godono del l'impero più dei prlncipi ereditari. Per valere qualcosa a questo mondo bisogna fare ciò che si può, ciò che si deve e ciò che si conviene. Ho conosciuto un gran signore che si interessava molto alle ruberie che si commettevano nella sua casa: « Il tale mi deruba di tanto - diceva - il tal altro di tanto e tutti insieme di tanto; ma io li tengo con me e forse ne assu merò di peggiori. D'altronde sono abbastanza ricco per arrivare alla fine dei miei giorni; mio figlio si arrangerà a suo piacimento ». Fu Luigi xv a dire: «La monarchia - durerà tanto quanto me; compiango il mio successore ». È questo il grado più basso di incuria e di egoismo. . 102 Bisogna avere una fame da povero per godere della ric chezza e uno spirito da privato cittadino per gustare il potere regio. Si può avere ricchezza ma senza felicità, cosi come si hanno delle donne senza l'amore. Vi sono persone che della propria ricchezza posseggono solo il timore di perderla. È ben triste dover desiderare il necessario come ciò sen za di cui si è infelici e con cui non si è affatto felici. La natura, dovendo creare un essere che fosse adatto al l'uomo per le proporzioni del corpo e al bambino per il carattere, ha risolto il problema creando quel bambino grande che è la donna. Il cuore è la parte infinita dell'uomo, la mente quella li mitata. Non si ama Dio con tutta la mente, lo si ama con tutto il cuore. Ho notato che le persone che mancano di cuore - e il numero è assai più alto di quanto non si cre da - hanno tutte un eccessivo amor proprio e una certa povertà di spirito, mentre il cuore armonizza tutto nel l'uomo; esse sono invidiose e ingrate e basta che siano in obbligo verso di te perché divengano tue nemiche. L'amore è un piccolo furto che lo stato di natura compie ai danni dello stato sociale. L'amore che vive nelle tempeste e spesso cresce in mez zo alle perfidie non dura sempre nella bonaccia della fe deltà. Perché l'amore è sempre cosi scontento di sé, mentre l'a mor proprio è sempre cosi soddisfatto? Ebbene, perché 103 .",~ . 'I per l'amor proprio tutto è un incasso, mentre per l'amo re tutto è una spesa. sempre senza trovarla, i grandi uomini hanno posseduto solo una teoria dell'amicizia. Dinanzi alle donne i giovani sembrano ricchi che si ver gognano, i vecchi sembrano poveri sfacciati. Si sa per quale destino i grandi talenti sono, in genere, più rivali che amici; essi maturano e brillano da soli, per paura di farsi ombra l'un l'altro. Le pecore si raggruppa no, i leoni si isolano. Si corrompe la ragazza innocente con proposte sfacciate, mentre l'amore delicato seduce la donna galante: un gu sto nuovo per l'una e per l'altra. Niente è maggior prova della scarsa stima degli uomini per se stessi che il disprezzo dimostrato verso gli attori e, in generale, verso tutti coloro che li fanno divertire e ser vono ai loro piaceri; d'altronde la maggioranza degli uo mini spiega il proprio disprezzo per una donna col fatto che l'hanno posseduta. È dalla consuetudine dei rapporti che nascono le amici zie più tenere e gli odi più forti. Enea è l'eroe della pietà filiale per aver lui stesso portato sulle spalle il padre attraverso le fiamme; non lo sarebbe se avessè fatto trasportare il padre da uno schiavo. Si di viene eroi quando si com pie un grande sacrificio per il proprio re o per la patria. Si può essere un gran re, un grand'uomo, un grande generale senza essere un eroe. Nell'amore o nella disgrazia l'amor proprio prega sem pre in modo poco accorto: perché all'oggetto amato par la sempre di sé e al potente implorato parla dei servizi resi invece che dei benefici ricevuti. Nel campo dell'arte, se è la parte laboriosa di una nazio ne quella che crea, è però la parte oziosa quella che sce· glie e che detta il gusto. L'amore nacque tra due esseri che si chiedevano lo stes so piacere. L'uomo modesto ha tutto da guadagnare, mentre l'orgo glioso ha tutto da perdere, perché la modestia ha sempre a che fare con la generosità e l'orgoglio con l'invidia. Perché si preferisce per la propria figlia uno stupido che abbia un nome e una posizione a un uomo intelligente? Il fatto è che i vantaggi dello stupido si· condividono e quelli dell'intelligente sono incomunicabili: un duca crea una duchessa, un uomo intelligente non rende intelli gente la sua donna. Simili ai cavalieri erranti che si creavano un'amante im maginaria e se la figuravano così perfetta da cercarla 104 Il disprezzo deve restare il più nascosto tra i nostri senti· menti. In generale, !'indulgenza verso chi si conosce è molto più rara che la pietà per chi non si conosce. Gli stupidi farebbero bene a nutrire per le persone intel· ligenti una diffidenza pari al disprezzo che queste riser vano loro. 105 \/:'~:n~:r \ L'invidia che parIa e che strepita è sempre innocua; è l'invidia silenziosa che dev'essere temuta. A procurarci fastidi non sono le scomodità di una condi zione, ma gli agi di un'altra. Un bello spirito sembra spesso felice, come un uomo che ha un bel corpo sembra spesso agile. TI gatto non ci accarezza ma si accarezza a noi. Un uomo mediocre, che usa bene il suo tempo, può, con destrezza e tenacia, giocare un ruolo importante e far parlare di sé. In Europa nascono più uomini che donne; questo solo fatto condanna le donne all'infedeltà. All'opposto, in una terra in cui ci fossero meno uomini molte donne sa rebbero condannate alla fedeltà. Lo stomaco è il terreno in cui germina il pensiero. TI decoro abbellisce la ricchezza e maschera la povertà. I rovi coprono il cammino dell'amicizia quando non lo si percorre frequentemente. Le stesse doti che consentono a un t,Jomo di fare fortuna gli impediscono poi di goderla. Bisogna evitare gli stupidi perché sono attaccabrighe e ti infliggono almeno venti ferite prima di riceverne una. Certe virtù si possono praticare solo quando si è ricchi. Se gli stupidi potessero immaginare quante sofferenze ci infliggono, avrebbero compassione di noi. Nello stato selvaggio le razze sono belle, perché è sem pre il maschio più robusto che scaccia gli altri e si gode la femmina. In morale bisogna evitare di riporre la propria virtù in atti indifferenti, com'è il conservare la verginità. Come un fiore o un frutto coltivati, che più sono belli o grossi e meno portano in sé i semi o gli acini, cosi un uo mo più coltiva il proprio spirito e meno è adatto alla ge nerazione o ai lavori manuali. Questo dimostra che la na tura non vuole che un fiore sia un bel fiore, né un frutto un grosso frutto, né un uomo un grande pensatore. La natura, poiché ha solo i quattro grandi scenari delle stagioni e il sole, la luna e gli astri come attori, si diverte a cambiare gli spettatori e li spedisce all'altro mondo. Noi uomini non possiamo cambiare gli spettatori e per ciò mutiamo scenari e commedia. 106 TI grande errore degli uomini sta nel credere che il tem po passa. TI tempo è la riva che sembra muoversi mentre noi gli scorriamo dinanzi. La strada più cattiva fa più rumore. La memoria si accontenta di tappeti logori, ma l'immagi nazione si circonda degli arazzi dei Gobelins. Tra gli animali si possono distinguere gli individui Intel ligenti e quelli abili: il cane, l'elefante, per esempio, sono intelligenti; l'usignolo e il baco da seta sono abili. 1'07 L'uomo è l'unico animale che si sorprenda dell'universo e che si stupisca ogni giorno di non essere più stupito. Negli animali la sorpresa scaturisce solo dall'apparizione di un oggetto sconosciuto e finisce bruscamente con lo spavento o la fuga, e, in tempi più lunghi, con l'assuefa zione o l'oblio. Nell'uomo la sorpresa è madre della ri flessione, si conclude con la meditazione e ci porta spes so, attraverso il felice tormento del pensiero, a delle sco perte. Lo stesso stupore, che è prodotto dalla nostra de bolezza, è un segno di genialità: perché sentirsi piccolo è indice di grandezza, come sentirsi colpevole è indice di virtù. Infine, noi uomini siamo ad un tempo stupefacenti e stupefatti; gli animali sono solo stupefacenti. Possiamo ritenerci fortunati che gli animali, già diversi da noi nell'aspetto, non posseggano la parola, perché, se ci comunicassero idee e sentimenti, se parlassero, il sen so di umanità ci impedirebbe di mangiarli. Infatti, non si ha il coraggio di uccidere neppure gli animali che entra no con noi in un rapporto molto stretto, come il cane. Se uccidete il pollo di un contadino, costui si acconten terà del vostro denaro; ma se uccidete il suo cane, offrir gli del denaro sarebbe un'ulteriore offesa. Poiché la vita è un intero, cioè ha un inizio, un mezzo e una fine, non ha importanza che essa sia lunga o breve; importa solo che possegga le giuste proporzioni. Ci si deve dunque lamentare solo di una morte prematura, che giunge prima della fine della vita: una morte simile non è infatti la fine della vita ma la sua interruzione. Vi è una genia di filosofi, persone di scarso prestigio in materia, spiriti avventati, che non hanno verso la natura quell'ardore misto a reverenza che distingue il vero amante, degno di riceverne i favori, ma si comportano 108 da persone indiscrete, che cercano solo la novità, la mo da e il clamore, e che disonorano troppo spesso l'oggetto dei loro omaggi. La ricchezza di Voltaire mantenne l'equilibrio della sua esistenza. Considerate le Mondain. In Rousseau, al con trario, si presenta un grande squilibrio tra il suo valore e le sue sostanze. TI primo era adatto a un grande impero, il secondo a una piccola città, dove la povertà può essere ritenuta una virtù. Ma, per una bizzarria che si può spie gare solo con i loro temperamenti, Voltaire visse a Gine vra e Rousseau a Parigi: l'uno voleva godere fastosamene della sua ricchezza presso un piccolo popolo e l'altro vo leva stupire una grande nazione con lo spettacolo della sua sdegnosa miseria. In questo loro modo di essere non si esprime certo una buona filosofia. Se si parla dal punto di vista metafisico, il tempo non è né un vecchio, né un fium~; tutte queste immagini si ad dicono solo al grande moto dell'universo che tutto di strugge e tutto ricrea per l'eternità. TI tempo è piuttosto il contenitore che lascia passare le acque del tÌume e re sta immobile; riviera dello spirito, tutto gli scorre dinan zi e noi crediamo che sia lui a scorrere. È noto che la vecchiaia si appoggia più alla memoria che all'immaginazione: perciò l'uomo di talento, quand'è nel suo pieno vigore, cerca di impressionare gli altri uomini, mentre, quando il talento declina, riesce solo a dipinger li. Bisogna dunque preparare già nella giovinezza questa risorsa per la stagione del tramonto. Senza la memoria, il sentimento, eccitato dall'immagina zione, si sarebbe scontrato ad ogni istante con la realtà; ma le sensazioni e le idee, che in origine sono come lam 109 pi, si mutano in luce morbida e continua per effetto del la memoria. Il motivo per cui un selvaggio non si trova bene nelle nostre città è che egli non attribuisce alcuna importanza alla pubblica opinione; del resto, se lo facesse, si assog getterebbe ben presto a tutte le nostre catene, in quanto porterebbe già la prima e la più pesante. Si sono visti dei marinai, divenuti selvaggi, non voler più tornare allo sta to sociale, mentre non si è mai visto un solo selvaggio che alla prima occasione non sia ritornato presso i suoi simili, qualunque piacere gli si fosse procurato nella no stra società. Sulla soglia della vita l'uomo fu posto dinanzi a un cro cicchio, l'animale dinanzi a un'unica strada: per questo noi uomini siamo capaci di dubitare e colpevoli di frode, mentre gli animali ne sono esenti e restano sempre in corruttibili. I filosofi si sono ingannati sia riguardo al popolo sia ri guardo alle classi sociali più elevate. Hanno creduto che i lumi si sarebbero diffusi nel popolo e non tra le classi alte. La morale erige un tribunale più alto e temibile di quello della legge. Essa vuole non solo che evitiamo il male, ma anche che facciamo il bene; non solo che sembriamo vir tuosi, ma che lo siamo realmente: e ciò poiché la morale non si fonda sul giudizio del pubblico, che si può ingan nare, ma sulla stima che abbiamo di noi stessi, che non ci inganna mai. La morale, come il corpo politico, è fondata sull'omoge neità, perché non c'è morale comune tra l'uomo e la be 110 stia o tra l'uomo e Dio. Fra gli animali, essa sarebbe fon data sull'animalità, fra gli angeli sulla natura spirituale, fra gli uomini sull'umanità, madre di tutte le virtù, per cpé conduce prima alla giustizia e poi a fare del bene. In morale vi sono questioni alle quali un uomo saggio e sicuro della propria coscienza non deve mai rispondere. La legge è scritta sulla facciata dell'edificio sociale; essa custodisce le porte e le strade e non conosce né prefe renze né eccezioni. Tuttavia, nell'edificio della morale e delle leggi, vi è un segreto ricetto che io chiamerei volen tieri il tribunale della coscienza, per giungere al quale solo la virtù conosce il cammino, e che la moltitudine è destinata a ignorare per sempre. Sarebbe criminale mostrare allo straniero il disegno del le nostre fortificazioni: egli si approprierebbe così della chiave del regno. lo non mostrerò dunque il cammino nascosto e la porta segreta di quel santuario appartato nel quale si giudicano le sottili questioni della morale, le perplessità della giustizia e tutti i problemi per i quali non vale la bilancia di Temi: perché, se li mostrassi, l'ari do interesse e tutti i sofismi delle passioni forzerebbero subito l'ingresso e violerebbero la coscienza nel suo ulti mo riparo. Non c'è che una sola morale, come non c'è che una sola geometria; queste due parole non conoscono plurale. La morale è figlia della giustizia e della coscienza: è una- re ligione universale. Ciò che va evitato nella morale è di riporre la virtù in at ti indifferenti come il digiuno, il cilicio, la macerazione della carne: tutto questo non è di alcuna utilità per gli altri uomini. 111 Le virtù sono state distinte in due classi: quelle che sono utili soltanto a noi, come la temperanza, la prudenza, la circospezione, e quelle che sono utili agli altri, come la giustizia, il fare del bene, l'abnegazione. Ciò che è utile soltanto a noi non è una virtù, nel senso che un uomo solo non può essere virtuoso né vizioso; ma, nella socie tà, un uomo prudente, temperante, circospetto, è più adatto ad essere buon padre di famiglia, buon soldato, buon magistrato; ed è in questo senso che tali qualità personali divengono virtù. Bisogna proporsi di dire sempre la verità, perché questo programma seguito costantemente ci eleva dinanzi a noi stessi e perché ci rende persone discrete: una virtù ne porta un'altra. Dunque, la dissimulazione non deve mai oltrepassare la soglia del silenzio. Fra tanti malevoli, che sventatamente dicono cattiverie su cose che non conoscono, vi sono degli amici discreti che tacciono prudentemente sulle cose buone che essi sanno. A corte non si è indulgenti su nulla e si dissimula tutto. È per questo che si ha di mira un gusto squisito e si giunge a una raffinata cortesia. Gli uomini eccelsi in ogni campo forniscono sempre dei modelli a un genti luomo di corte; da ciò proviene quella leggera patina di universalità che costituisce lo spirito di corte. La felicità dei bambini è una grande· opera della prov videnza: perché se il mondo fosse qualcosa di buono, quelli che non ci capiscono niente sarebbero da com piangere più di tutti. « Perché si è ucciso? » Servono ragioni così valide per vivere che non ce ne vuole alcuna per morire. All'avaro manca sia ciò che ha sia ciò che non ha. È l'uo mo odioso per eccellenza. Un ricco che, pur non essen do avaro, non facesse del bene al prossimo sarebbe co me un sole che avesse perduto la sua luce. Se il ricco fosse generoso allo stesso modo in cui lo è la terra, se cioè concedesse qualcosa solo inseguito al lavo ro, sarebbe ritenuto altrettanto duro. Niente di più brutto che essere ricco senza virtù. Quando un uomo vale più di ciò che possiede bisogna ,che sia ben povero; ecco perché i ricchi sembrano valere tanto poco ed ecco perché i filosofi sono a favore dei poverI. « Ritornate », scriveva al suo amante una donna di poca religiosità, «se avessi potuto amare un assente, avrei amato Dio.» Costei trasformava Dio in uomo; ma Dio è sempre presente. Ciò che conserva quel poco d'onestà e di morale pubbli ca che brilla ancora a questo mondo è il fatto che un fur fante non vuole passare per tale e accusa i suoi simili di esserlo. Tutto sarebbe perduto se egli avesse l'ardire di proclamare ad alta voce: « io sono un furfante ». Questo pudore non è affatto ipocrisia. Il suddito, sulla cui amicizia conta il monarca, deve sem pre trepidare come la ninfa della favola che temeva che Giove, un giorno, dimentico di ogni metamorfosi, le comparisse dinanzi nel suo folgorante splendore. 112 113 Su dieci persone che parlano di noi nove ne parlano ma le e spesso la sola persona che ne parla bene lo fa nel modo sbagliato. meravigliosa armonia, dall'insetto all'uomo, dall'atomo al sole, fino all'essere unico, luminoso e misterioso, che funge da centro e che è l'io dell'universo. Se i gentiluomini di corte pensano e parlano con più fi nezza degli altri uomini, è perché a corte si è continua mente costretti a dissimulare i pensieri e i sentimenti. Vi sono stati dei preti costituzionali, ma non si può ave re una religione costituzionale. Che poteva il buonsenso in un secolo malato di metafisi ca, nel quale non si concedeva neppure alla felicità di presentarsi senza adeguate dimostrazioni? Poca filosofia allontana dalla religione e molta vi ricon duce. Bacone ha detto questo della religione e ha voluto farci capire che quando si ritorna a essa è perché la reli gione ci richiama grazie alla sua dimensione politica. Ogni uomo che s'innalza si isola, e io paragonerei volen tieri la gerarchia degli spiriti a una piramide. Quelli che stanno alla base corrispondono alle sezioni più grandi, e si trovano ad essere in molti allo stesso livello; a misura che ci si innalza si corrisponde a sezioni più ristrette; in fine, la pietra che sormonta e conclude la piramide è unica e ad essa non corrisponde nessuno. Tacito ha parlato da vero filosofo quando ha detto che è meglio credere in Dio piuttosto che discutere di Dio: « Sanctius ac reverentius videtur de existentia Dei credere quam sctre ». Ai nostri giorni, se il potere assoluto di un singolo si sta bilisse in Francia, la filosofia opporrebbe meno argini al la tirannide di quanto non farebbe la religione. Ho visto un uomo che non credeva in Dio e che tuttavia, per quanti gli stavano attorno, era un vero uomo della provvidenza. Di uomini siffatti ho conosciuto soltanto questo. In materia di religione, il saggio non dev'essere né super stizioso né empio. L'incredulo si inganna sull'altra vita, il credente sbaglia spesso su questa. Alla fin fme non c'è che una religione sulla terra - ossia il rapporto dell'uomo con Dio -, come non c'è che un metallo chiamato argento. Ma ogni nazione conia il me tallo nella sua zecca e questo crea la differenza delle mo nete. Capita lo stesso per le lingue, che tra loro sono di verse benché non sussista che una sola facoltà di parlare. Come applicare una misura fissa ai culti e alle lingue? Come trovare il loro tratto universale? Si è sommamente infelici quando i propri gusti stanno in opposizione alle proprie necessità. Ad esempio, a me piace la quiete ma ho bisogno di muovermi. L'universo si compone di cerchi concentrici, ordinati gli uni attorno agli altri e che si corrispondono tutti con Un giovanotto, che era riuscito a introdursi nella buona società, approfittò di una circostanza fortunata per in 114 Annotazioni 115 viare al padre un soccorso finanziario; all'amico che l'a veva aiutato in questa faccenda raccomandò il segreto, perché - diceva - in un mondo corrotto come quello la disgrazia d'avere un padre povero poteva nuocergli più di quanto gli avrebbe fatto onore la sua pietà filiale. Il tale è uno sciocco, ma sta a sentire di buon grado gli amici intelligenti. Il cielo vi preservi dall'amore di un'inglese. « Signore, vi State annoiando? » « Non ha importanta purché mi si distragga.» «A che pro questa continua dissolutezza? Una ragazza dopo l'altra! » « Lei dovrebbe piuttosto congratularsi con me, perché in questo modo la mia amante resta sempre all'età di quindici anni e per di più mi risparmia la fatica della corrispondenza epistolare. » Un giorno la figlia naturale del conte P. mi disse: «lo debbo alla mia natura la mia irragionevole follia e una dissolutezza senza sentimenti ». Sprofondato nell'indolenza, vedevo crescermi attorno una reputazione di cattivo senza aver commesso, per meritarmela, altri delitti che qualche amenità, e dunque mi dicevo: «I Nerone e i Caligola, per farsi temere e odiare, compivano atti davvero delittuosi, mentre con qualche semplice bagatella sarebbero potuti passare per mostri ». Al Caveau, verso il 1780, le nostre conversazioni erano di livello così elevato che le spie quasi morivano di noia; 116 perciò dovettero far infiltrare tra noi un accademico, Suard. Poiché la natura non mi ha donato niente di eccezionale, e ancora meno mi ha dato la società, io mi accontento dell'aria e dell'acqua, del silenzio e della solitudine come dei quattro elementi della mia vita, che non portano con sé né piacere né tormento. Al signor Dutens, autore di un libro nel quale sostiene che noi siamo debitori agli antichi di tutte le nostre in venzioni, bisognerebbe chiedere perché non abbia asse gnato ad Apollo un fucile. Infatti, poiché ci saranno . sempre nuove invenzioni e, di conseguenza, nuovi signo ri Dutens, che non mancheranno di attribuirle agli anti chi, gli suggerisco di risparmiare la fatica ai suoi succes sori e perciò di ricavare dai classici, una volta per tutte, ogni invenzione che possa essere escogitata in saecula saeculorum. Amen. Regola pratica: non prestate mai libri alle donne o fatelo solo con quelle che teniamo sotto chiave. Su Mirabeau: il denaro gli costava solo dei delitti e i de litti non gli costavano niente. Una sera, all'Opéra, M.lle Laguerre, in seguito a un aspro diverbio con l'amante, fugg1 dal teatro piangendo e con ancora indosso l'abito di scena; la sua mente era cos1 confusa, che si smarrì nella campagna, dove trascor se l'intera notte in lacrime. Verso il mattino era d'esta te - si mise a cantare e salutò l'aurora con un leggiadro canto, che era stato molto applaudito a Parigi. I contadi ni che scorsero questa bellissima creatura con abiti di una magnificenza e di un'eleganza ad essi sconosciute, 117 stupiti per il suo portamento, per la sua superba bellezza e per la sua voce, la scambiarono per un angelo e si ingi nocchiarono dinanzi a lei. Immaginiamoci che, a rapire M.lle Laguerre, fosse apparso un pallone aerostatico, si mile a quello con cui Charles si alzò in volo davanti alle Tuileries: l'illusione non sarebbe forse stata completa? I testimoni non si sarebbero fatti in quattro per conferma re l'apparizione e l'ascesa al cielo? In qualunque altra re ligione ci sarebbe forse un miracolo attestato meglio e più chiaramente di questo? E tuttavia il fatto è accaduto vicino a Parigi, nel 1778, in pieno secolo dei lumi. Perché il signor Lauraguais ha paragonato il mio spirito a un fuoco che brucia sull'acqua? Nella mia giovinezza c'erano a Parigi degli uomini di mondo che si sono rovinati per conquistare l'amore di qualche ragazza del popolo. Una di loro mi disse, a pro posito del duca x: « È un uomo che vuoI essere adorato e questo costa molto ~>. Non soltanto il Dio degli uomini è un uomo, ma quello degli ebrei è ebreo, quello dei giapponesi è giapponese e cosi via. Nel 1772 alcune nobili damigelle, dai quindici ai diciot to anni d'età, poiché languivano di noia all'Abbaye-aux Bois, decisero di scrivere una lettera al Gran Sultano per supplicarlo di accoglierle nel suo harem. La lettera, in tercettata, fu consegnata al re, e a corte se ne rise molto. La noia del convento e il desiderio d'amore avevano spinto queste signorine a un gesto molto naturale. Su Lauraguais. Le sue idee sono come lastre di vetro ac catastate in una vetreria: ognuna, singolarmente, è tra sparente, ma tutte insieme sono opache. Una donna disse a un parvenu che le aveva rifiutato un favore: «Pfui! Avete tutti i difetti dei gran signori ». E cosi ottenne ciò che desiderava. Mentre io dormivo, l'arcivescovo disse alla mia amica: « Lasciamolo dormire, non parliamo più ~>. Ed io rispo si: « Se smettete di parlare, mi sveglierò ~>. I gazzettieri, che scrivono tanto seriosamente sui versi leggeri di Voltaire, assomigliano a quei doganieri che applicano i loro sigilli di piombo alle finissime stoffe ita liane. « Gli uomini non sono cosÌ cattivi come Lei suppone. Lei ha impiegato vent'anni per scrivere un pessimo libro, mentre a loro è bastato un attimo per dimenticarlo. » « Lei parla molto con queste persone noiose. ~> « Parlo per non doverle ascoltare. » « Le scriverò' domani, ne sia certo. » « Non abbia premura e scriva quando vuole. » 118 Mirabeau, più di ogni altro uomo; era pari alla sua fama: era orrendo. Per denaro Mirabeau sarebbe stato capace di tutto, per fino d'una buona azione. La simulazione può rendere intelligenti: ad esempio, G. diceva sempre, per principio, l'opposto di ciò che pensa va e questo gli dava dei buoni risultati. 119 Il mio lavoro al Dizionario della lingua francese mi faceva pensare, talvolta, a quello di un medico, costretto a se zionare la sua amata. Un giorno mi saltò in mente di sparlare dell'amore e lui, per vendicarsi, mi costrinse al matrimonio. Da allora vi vo di rimpianti. La Venere di Milo è solo una statua di marmo, anche se ha una forma perfetta. La donna è imperfetta, e tuttavia è dotata di vita e di movimento. Mentre la statua, a cau sa della sua immobilità, sarebbe insopportabile senza una forma perfetta, la donna, a motivo della sua imper fezione, sembrerebbe una brutta statua se fosse priva dell'incanto che le conferisce la vita e il gioco della pas sione. A Parigi la prowidenza è più potente che altrove. La musica deve cullare l'anima nell'indefinito e offrire dei motivi. Non c'è musica peggiore di quella che defini sce tutto. Nelle sue epoche di sviluppo, Parigi assomiglia a una morbida ragazza che si irrobustisce solo nell'addome. Nel 1792, due anziani arcivescovi passeggiavano nel par co della città di Bruxelles, appoggiandosi ai loro bastoni. Dopo un lungo silenzio, l'uno disse all'altro: «Monsi gnore, lei crede che trascorreremo l'inverno a Parigi? » E l'altro replicò con sussiego: «Monsignore, non ci vedo nulla di sconveniente ». Gli spiriti meschini e~ultano per i difetti dei grandi, co-· me le civette, che si rallegrano per un'eclissi di sole. Se si fa dello spirito davanti a dei tedeschi, essi reagisco no solo dopo averci pensato su e dopo essersi incorag giati tra loro con lo sguardo. I tedeschi hanno bisogno di essere in gruppo per apprezzare una battuta. Lo Spirito delle Leggi di Montesquieu è maestoso e fe condo come il Nilo nel suo corso, ma è altrettanto oscu Sebbene io non sia né Socrate né Giove, mi ritrovo in casa Santippe e Giunone. ro nelle sorgenti. Come tanta gente, che invano si sforza di starnutire, G. cerca di fare osservazioni intelligenti. Lo stile di Rousseau è lacrimoso e scomposto; non è lo stile di uno scrittore, ma di un tribuno che declama. . Lo storico e il romanziere si scambiano la verità e la poesia: lo storico ricorre alla poesia per rawivare il rac conto di dò che è accaduto; il romanziere si appella alla verità per dare credibilità a ciò che non è mai awenuto. 120 Non conosco nessuno in Europa che s'inganni sul pro prio sesso più di Madame de Stael. Mentre ij francese cerca di strappare alla vita il lato più bello, l'inglese sembra sempre in presenza di un dram ma, cosicché il classico paragone tra l'ateniese e lo spar tano si applica ai due perfettamente. Si procura lo stesso fastidio a un francese quando lo si annoia e a un inglese quando lo si diverte. Ho lasciato l'Inghilterra per due ragioni: in primo luogo per il cattivo clima e poi perché il mio lavoro al Diziona 121 i rio riusciva meglio sul Continente. Del resto, non mi ag grada una terra in cui vi sono più farmacie che forni e dove non si conosce alcun frutto maturo al di fuori delle mele cotte. Le inglesi, poi, sono belle, ma hanno due mani sinistre. « ... e la loro grazia oscura anche la loro bellezza », dice invece il nostro Lafontaine, in uno dei suoi versi dedicati al corpo delle donne francesi. Il mio epitaffio: « L'indolenza ce lo rapì prima della morte ». Aneddoti Parodiando un verso dell'Henriade, Rivarol definiva l'occhio come il luogo in cui spirito e materia si congiun gono: « Luogo in cui il corpo finisce e inizia lo spirito ». A un autore che gli richiedeva un'epigrafe per una bro chure: «purtroppo, posso offrirLe soltanto un epitaf fio ». Definì gli oratori dell' Assemblea Costituente, i cui nomi erano sulla bocca di tutti senza che prima nessuno li avesse mai sentiti, « funghi politici, spuntati nottetempo nelle serre della moderna filantropia ». A qualcuno che gli presentava un distico: « è buono, ma vi sono delle lungaggini ». In un colloquio sulla rivoluzione, l'abate Balivière ebbe a dire: « lo spirito ha portato tutti noi alla rovina ». Riva rol rispose: «perché Lei non ci ha fornito l'antidoto? » La sera, il suo segretario non si ricordava già più delle lettere che gli erano state dettate il mattino. Rivarol lo definiva il segretario ideale per le congiure. Un giorno, Rivarol si intratteneva con D'Alembert su Buffon. D'Alembert disse: «Lasci che mi diverta con questo chiacchierone, che comincia con frasi del tipo: "la conquista più nobile che l'uomo abbia mai fatto è quella di questo fiero e veloce animale" etc. Perché non scrive semplicemente: il cavallo? » « Sì », disse Rivarol, « egli fa a gara con Jean Baptiste Rousseau, che ha il coraggio di dire in versi: "dai lidi in cui si leva l'aurora alle sponde fiammeggianti in cui co mincia la notte" invece di scrivere semplicemente: "da est a ovest". » Ebbe a dire di Thibault, che teneva ad Amburgo delle lezioni molto mal frequentate: « paga i custodi a guardia delle uscite ». A proposito del Duca d'Orléans, il cui viso era colorito dal borgogna: « la dissolutezza lo ha dispensato dal ros sore della vergogna ». L'editore: «lo mi sarei presentato in maniera decoro sa ». Rivarol: « Non volevo metterLa in imbarazzo ». Nel suo incontro con Voltaire, paragonò certe operazio ni algebriche all'attività delle donne che lavorano al tom bolo, le quali guidano i loro fili attraverso un labirinto di aghi e a sera si stupiscono dei merletti sopraffini che hanno ottenuto. « Cosa crede », rispose Rivarol a una duchessa, che dice va che si poteva frustare la regina, purché la rivoluzione 122 12.3 non andasse avanti, « cosa crede che si farebbe alle du chesse, se si frustano le regine? ~> A uno sciocco che si vantava di conoscere quattro lin gue: « Mi complimento con Lei. Lei ha quattro parole per una sola idea ». 124 APPENDICE Sulla letteratura La fama che Rivarol si era fatta in società come homme d'esprit fu piuttosto nociva al suo apprezzamento lettera rio. Ai liberali appariva, nel migliore dei casi, come un persifleur, come un canzonatore spiritoso, ai conservato ri come un fiorettista. Le Oeuvres Complètes, che uscirono nel 1808 presso Collin, poterono modificare di poco questo stereotipo: esse rivelano quelle mancanze che spesso gravano sulle raccolte postume. Ne è un esempio l'edizione Rothsche Hamann, di cui per molto tempo abbiamo dovuto ac contentarci, sino a quando tali mancanze vennero col ma,te dai testi di N adler. Solo Sainte-Beuve, intorno alla metà del secolo scor so, ha riconosciuto il significato di Rivarol, benché egli si limiti essenzialmente a un apprezzamento stilistico. Ne gli anni '80 e '90 le edizioni di Lescure e Le Breton get tarono luce tanto sui testi quanto sulla biografia. I loro lavori stimolarono spiriti come Barbey d'Aurevilly, Remy de Gourmont e Paul Léautaud a occuparsi di Rivaro!. Rivarol agirà· sempre e soltanto sui singoli: egli è an noverato tra le pietre di paragone letterarie. Se lo si ama e si trova un tale amore anche presso uno sconosciuto, è questo un auspicio per una buona discussione. Rivarol guadagna in durata quel che perde in estensione. Nei suoi quaderni si trova l'annotazione: « io cerco di appor tare al mio stile una rifinitura che mi impedisce di eser citare un influsso sul mio secolo ». In Germania l'influenza di Rivarol fu ancora minore che in patria. Ma egli ha pur sempre trovato in fretta de 127 gli estimatori, come Karl Julius Weber, l'erudito autore del Demokn'tos, quell'inesauribile fonte di serenità. Una traduzione delle massime apparve soltanto nel 1938, nella collezione Die franzosischen Moralisten, pres so Dieterich. Questa traduzione segue la ripartizione di Lescure. Venne curata da Fritz Schalk, Lo stesso anno recò la più approfondita celebrazione . del nostro autore: Antoine de Rivaral undder Ausgang der /ranzosischen Aufklarung, un'ampia dissertazione che sopravanza, per conoscenza dei dettagli e anche per empatia spirituale, persino il bel lavoro di Le Breton. Essa rappresenta la chiave scientifica per chiunque vo glia occuparsi di Rivarol e della sua opera. Il suo autore è Karl-Eugen GaS. È per me necessario ricordare questo valido romani sta, non solo perché lo impone l'occasione di uno scritto su Rivarol pubblicato in Germania ma anche perché egli rientra in quella messe di talenti in via di' maturazione che la guerra chiamò a sé. Karl-Eugen GaS nacque il 21 marzo del 1912 a Kas sel e dal 1930 al 1936 studiò lingue romanze, germanisti ca e filosofia, dapprima ad Heidelberg, dove fu allievo di J aspers, più tardi a Monaco e quindi a Bonn presso Ernst Robert Curtius. Qui ricevette lo stimolo a occu parsi di Rivarol, quindi si recò alla Sorbona per il Seme stre invernale 1933-34. Là, da uno degli antiquari di Rue de Seine, gli riusCÌ di scoprire l'edizione di Rivarol del 1808, da lungo tempo introvabile. L'esemplare, che ven ne tratto in salvo dal rifugio antiaereo della sua casa di strutta, tornò buono anche a me per la traduzione. Deb-' bo tutto questo, cosl come i particolari della sua vita, al l'amichevole interessamento di sua moglie. Nel febbraio del 1935 GaS ottenne la promozione e nel 1937 una borsa di scambio alla Scuola Normale Su periore di Pisa, dove trovò la quiete per i suoi studi. 128 Qui, accanto ai lavori scientifici, iniziò un bel diario. Nel 1938 diventò assistente alla biblioteca Hertziana a Ro ma. Di là ricevetti il suo lavoro su Rivaro!. Dalla lettera di accompagnamento appresi che la rilevanza del suo autore - una rilevanza che non solo si prolunga fino alla nostra epoca ma si attualizza in essa - era per lui sconta ta: a questo riguardo, egli è anzi una pietra di paragone. GaS mi scrive nello stile un po' cifrato di quegli anni: « Dal libro Ella potrà desumere che in questo perio do Rivarol ha esercitato su di me un importante influsso: egli mi ha illuminato la situazione presente sotto tutti gli aspetti. Ma, come si richiede ad una dissertazione, ho accantonato del tutto questo tratto per far posto a un al tro intendimento: esporre nella sua struttura il mondo spirituale di Rivarol. È sempre rimasto un desiderio tra durre una raccolta di testi di RivaroI che faccia effettiva mente conoscere la sua figura e cosi lo renda noto in Germania... » Poi scoppiò la guerra. Giunsero ancora alcune brevi lettere e, infine, dopo la sconfitta, come di molti altri amici a me personalmente sconosciuti, arrivò la notizia che egli era caduto a Eindhoven, in terra olandese, il 18 settembre 1944. Da lungo tempo il suo spirito sereno era stato offu scato: il destino del nostro popolo lo aveva riempito di una grande malinconia. Ma quando lo raggiunse l'ordine di partire, ritornò la serenità. Come molti tra i migliori dei nostri, egli vide che la vessatoria coartazione di po tenza e diritto forgia una terza realtà: la porta del sacrifi cio, che è sempre aperta. «Concedimi il cammino sul quale io non ti posso portare. » Queste furono le sue ul time parole alla moglie. 129 Sulle massime Come si è già detto, ai tempi di Rivarolle massime non comparvero in questa forma. Piuttosto, esse si vennero formando come una raccolta di frammenti. Già l'edizio ne del 1808 ne recava un piccolo fondo, titolato Mélan ges. Nel 1836, un fratello più giovane di Rivarol, Claude François, pubblicò un'edizione delle Pensées inédites. Essa si fonda su quattro quaderni lasciati da Rivarol, chè egli definiva il suo « tesoro ».Rivarol aveva l'abitudine di scrivere giornalmente le sue idee su dei foglietti e di conservarle, a seconda del contenuto, in diversi sacchet ti, come era allora d'uso per i notai e per le autorità. Oc casionalmente, la raccolta veniva esaminata e collaziona ta. Purtroppo il fratello, di cui Rivarol aveva detto una volta che in ogni altra famiglia, tranne che nella sua, sa" rebbe stato considerato un bambino prodigio, ritenne necessario fare nella sua edizione alcuni ritocchi, modifi che e aggiunte. Il merito di aver chiarito e ripulito questi testi alla luce dei « carnets» e di altre fonti spetta ad André Le Breton. Il suo lavoro di vaglio e di critica tro vò esito nell'opera pubblicata nel 1895, Rivarol, sa vie, ses idées, son talent, d'après des documents nouveaux, che è rimasta da allora canonica. Su di essa si basa anche là raccolta, Notes, Maximes et Pensées de A. de Rivarol, comparsa nel 1941 da Haumont. Jacques Haumont, un appassionato stampato re, con sultò oltre all'edizione di Le Breton anche quella di Le scure, quindi l'edizione completa e i « Rivaroliana ».del 1812. Il risultato fu un bel prodotto a stampa in due vo 130 lumi, con il quale egli arricchila sua « Collana di mora listi ». La presente edizione, previa un'ulteriore consultazio ne delle fonti, segue essenzialmente l'ordine di questa raccolta. Alcuni luoghi sono stati nuovamente accolti; al tri, per noi divenuti privi d'importanza, tralasciati. Una glossa come «l'arte di stampare libri è l'artiglieria dell'idea» è stata tralasciata in quanto di livello inferio re, benché il paragone di polvere da sparo e inchiostro da stampa confermi il punto di vista di Rivarol, per il quale, alla fin fme, in letteratura tutto diventa luogo co mune. Sono diventate superflue gran parte delle punzec chiature a quei letterati la cui ultima traccia è stata dis solta dal tempo, quantomeno se l'osservazione ha solo un riferimento personale ed è priva del peso aggiuntivo della verità universale. Al contrario, quando Rivarol dice di un contemporaneo che le sue idee ricordano i vetri nella cassetta del vetraio, poiché esse sono chiare singo larmente ma opache nell'insieme, ecco che allora si trat ta di un'osservazione di tattica logica e alla sua luce vie ne fissato per il futuro il nome di questo contempora neo. In ciò risiede uno dei pericoli per lo scricciolo che pretende di volare al di sopra dell'aquila. Il trionfo di un giorno viene pagato con imperitura derisione. Nel frattempo, le cose si sono di nuovo normalizzate a tal punto che, anche in questa sede, io posso dire il mio grazie al signor Haumont per il viatico su un incerto cammino che egli mi ha dato con i suoi due volumi del 1944. In una situazione del genere, i pensieri di una mente chiara, anche se questa è vissuta molto prima di noi, sono più nutrienti e indispensabili del pane. 131 ~. u """" ~ """" «:I :> -e ....~ «:I "'"O ti o.. ~o V «:I ...... ;;: «:I V ....uv <: o.. o.. .5 "'"O5 «:I <n <n ....:I ~ .
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