Il vento è vero - Edizioni Smasher

Giovanni Impellizzieri
Il vento è vero
poesie
Edizioni Smasher
Le illustrazioni interne e l’immagine di copertina sono dell’Autore
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Direttore editoriale Carmen Fasolo
Il vento è vero
Giovanni Impellizzieri
1a edizione maggio 2015
ISBN 978-88-6300-152-5
Prefazioni
Ha del poeta l’emozione e il canto, queste qualità essenziali
che suggeriscono e rivelano l’ineffabile simpatia con la quale è in
comunione con i sentimenti degli altri. La fantasia, la sottigliezza,
l’erudizione sono dei doni che dispiega nei suoi affetti e nella sua
opera artistica.
Per parlare di lui correttamente si dovrebbe avere il suo potere
di trasfigurazione; trasfigura se stesso e trasfigura nel suo stile tutto
ciò che passa a sua portata.
Ci si impregna del poema attraverso la sua musica, il suo percorso danzante.
Decodificatore di invisibile, poeta scopritore come i surrealisti,
affida all’immagine poetica la cura di oltrepassare il reale e di aprire
dei campi magnetici. La sua arte è basata su un principio semplice:
la creazione viene dall’immaginazione e dall’intuizione, una presa
di coscienza di una lingua creatrice; una lingua detta e ascoltata,
letta in parole e pagine.
La poesia rende invulnerabile. Un poema può guarire un dolore
e trasformarlo in estasi. Il dolore cosciente di non potere toccare l’essenziale, al di là di non so quale limite. Un’attenzione, un
ascolto generoso, si confida, degli elementi si rivelano al passaggio.
Estrae dal mistero quotidiano nuovi incantesimi.
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Prende coscienza di ciò che costituisce la sua omogeneità, una
visione d’insieme, la perpetua nascita della purezza primaria, come
se ciascuna parola gli appartenesse in maniera fondamentale.
La sua poesia ha a che fare con un delicato squilibrio tra ciò che
è la storia e ciò che è atemporale; segue il movimento del tempo.
Questi poemi svelano come il desiderio che muove la sua parola
operi metamorfosi, configuri un cammino, costruisca un tratto di
vita sotto il segno dell’ostinazione d’amore.
Marie Eve Gardère
∞
I punti di forza di queste poesie emergono quando l’espressione
è più necessaria e allo stesso tempo slegata da modi di percezione
usuali; lo sguardo è fresco e offre immagini inedite: ad esempio
alcuni versi un po’ misteriosi della poesia su Napoli (ogni angolo è un
altare ai Numi sacri e Il vento è vero). Così come il concerto di grucce con
la metafora delle ossa che chiude Le stelle di San Lorenzo.
I pregi dell’Autore mi sembrano emergere quando non si limita a giustapporre impressioni frammentarie e non teme invece di
affidarsi a un filo narrativo (ancora Le stelle...); e quando amarezza
e crudeltà non restano solo urla dell’io ma si fondono in un’immagine che va a colpo sicuro (Siamo come due pistole...).
Una menzione particolare per una delle poesie in dialetto, Suli,
che mi pare incardinarsi in modo interessante sulla linea di Ignazio
Buttitta e Nino De Vita. Anche su questa musicalità terragna e su
questo sguardo particolare da un’altra sponda, che mi sembra più
legato a una voce personale.
Fabio Pedone
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Nota dell’Editore
Spesso è complesso definire chi è il poeta; lo è anche conoscerne
la sensibilità, la carnalità, il movimento, l’archetipo, l’intercedere
del suo sguardo sulle cose del mondo. Ecco perché se quello che lo
riguarda non è definibile, è comunque percepibile dai nostri sensi
(ma non per questo sempre raccolto).
Leggere la poesia di Giovanni Impellizzieri non prevede solo
l’utilizzo della vista o dell’udito, poiché a me pare si possa addirittura toccare il prodotto della costruzione delle sue parole, come
se fosse carnalmente rappresentato di fronte a noi, né effimero né
inconsistente, ma reale e presente.
Pur essendo indiscutibile che Impellizzieri abbia un’indole squisitamente introspettiva, in questo corpus poetico la fisicità delle cose
è forte, si sente, ci accompagna nella lettura.
In un tempo digitale in cui i punti di riferimento trasudano di
labilità e disincanto, qui il riappropriarsi delle cose reali di ogni giorno conferma la necessità di vivere la quotidianità, possedendola.
A questo punto, si spalanca a noi un nodo cruciale della poesia
di Giovanni: cosa possediamo davvero? Il vento? O la città? Ancor di
più, il corpo? L’amore dell’altro? O il nostro? La sua bocca o la sua
assenza? Magari, il mare? Forse il silenzio? La nostra lingua madre?
A me pare che la risposta (volutamente al singolare) emerga lapalissiana e dirompente dalle parole del nostro poeta: ci appartiene la
vita, nel senso più profondo che si possa immaginare.
La vita non è bella a tutti i costi, né però brutta. È.
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Possedere la vita schiude altri infiniti significati e ci rende come
la luna piena di cui ci parla Giovanni: affamati ancora di vita e di
altre occasioni.
Poetare (che è più del solo scrivere in versi) non è figurare i millimetri delle cose esistenti, come fossimo costruttori di geometrie.
Il poeta, perché Impellizzieri è tale, ci mostra l’aspetto più astratto,
ma parossisticamente più concreto del vivere: sentire la vita.
La sensazione che ho provato, leggendo questa silloge, è simile
a quella di chi attraversa con tutto il corpo ciò che esperisce e non ne
racconta per forza la dimensione, il colore e il peso, ma il senso. Giovanni, uomo dallo sguardo e dall’osservazione voraci, esprime la
poetica carnale delle cose e la carnalità è tale perché si percepisce,
si sente appunto.
Chiamare per nome le cose è importante, ma capire come ci
fanno sentire diviene curativo: così la bocca è la bocca e i baci sono
i baci, come il naso, le panchine, le parole che danzano anche nel
silenzio. E sono non solo in quanto tali, ma sono perché ci danno
vita, ce la fanno sentire.
Proviamo a leggere la poesia Napoli: chiudiamo poi gli occhi e ci
sembrerà non solo facile immaginare lo scatto fotografico di quel
momento, ma anche sentirne il senso.
Amare la vita non ci rende meno funanboli e sospesi nel vuoto
(i miei occhi luccicano nelle sabbie mobili), né rispetto ai nostri dolori né
rispetto alle situazioni che rimbombano il senso della fine (nella
mensa vuota risuona eco di stoviglie), ma ci dà quella resilienza e quel
coraggio di procedere, avendo come obiettivo quello di arrivare a
noi pur consapevoli di aver qualcosa in meno (un concerto di grucce).
Come scrissi diversi anni fa, sembra che il nostro amore sia un
marzapane e chi amiamo il suo roditore (Il te di me). Anche qui.
L’amore, nel poeta Giovanni, è concreto e si riscontra in ciascuno
di noi e in ciascuna cosa, diviene tumulto, ma anche pace, diviene
ruota, ma anche moto, diviene petalo, ma anche rosa. Tutto ciò a
significare che, quasi in forma gestaltica, ciascuno di noi - insieme
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all’altro - non è la sommatoria frammentata di cose, ma è qualcosa
di più. Così chi amiamo diviene il nostro rifugio e noi, a nostra
volta, siamo il suo (un corpo unico / d’amore e risentimento / di vittoria in
vittoria / di sconfitta in sconfitta). Un completamento che non annulla
le identità, ma le amplifica e dischiude, nel bello e brutto tempo.
Nonostante i dolori (“ti amo” è un’operazione chirurgica), si vedono ancora forme, seppur residuali, di voglia di risentirlo costantemente
l’amore (o la sua idea?). Ciò viene colto anche in versi estremamente evocativi: tinge tutte le lenzuola / bruceremo in una volta sola.
Sul finire di questa mia istintiva nota di lettura, vorrei anche
spendere qualche parola sulle illustrazioni all’interno. Non so quanto a Giovanni Impellizzieri importi della psicoanalisi, ma rivedo
fortemente quel perturbante freudiano che viaggia dentro di noi e
ci fa attraversare l’esistenza. È come se ciascuna delle illustrazioni
fosse un corpus poetico a sé, mai didascalico, ma assemblato alle poesie “tradizionali” (cioè composte da parole, virgole e suoni). Vedo
molto della fragilità umana, ma al contempo la straordinaria voglia
di vivere che ci lega come un cordone ombelicale alla natura e alle
nostre origini (e qui ci aiutano anche i versi in dialetto siciliano).
Siamo un insieme, mai amorfo, di genitorialità, cultura, situazioni
esperite, credenze, volontà, istintualità e desideri di conoscenza e
persone incontrate. Leggere le poesie e le illustrazioni di Giovanni
è, forse, come essere invitati a cena da lui, conoscerlo, ascoltare le
cose che a lui piacciono, come sente la vita. È, ancora più sinteticamente, entrare in relazione con lui.
A me del poeta Impellizzeri piace la capacità di non voler per
forza mentalizzare tutto (la ragione non può essere la chiave delle nostre porte esterne ed interne), semmai la sua poetica è uno
sguardo vero, sì difeso ma quanto basta, sulla vita.
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