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l’OSSERVATORE
Marzo 2012 N° 3
Osservatorio dell’Asia Orientale
Le tre vite di Xi • Cina e ordine sociale tra sinocentrismo e “comunismo”•
Through the lens of the chinese language • Cina: terra rara. •
SEZ: una prospettiva nordcoreana • Il valore di un nordcoreano all'estero •
La politica industriale giapponese • Wikileaks ed il Giappone •
Un’elezione, due sistemi
L’editoriale
Nel maggio 2011, quando iniziammo a porre le basi per creare
l’Osservatorio dell’Asia Orientale, non potevamo certo immaginare che a
meno di un anno di distanza il nostro piccolo progetto avrebbe riscosso
un così ampio consenso.
In 10 mesi l’Osservatorio ha visto quadruplicare i suoi collaboratori e i
suoi iscritti, con un relativo aumento dell’attività di informazione e lo
sviluppo di nuovi progetti.
Dalla collaborazione tra la nostra associazione e la Scuola di Studi
Superiori dell’Università di Torino, è nata l’idea di organizzare una
conferenza sulla Corea del Nord (dettagli nella pagina seguente), per
promuovere l’informazione su uno dei Paesi più enigmatici del giorno
d’oggi.
La terza edizione dell’Osservatore, in edizione bimestrale anziché
trimestrale, offre anche questa volta un ricco spettro di riflessioni ed
approfondimenti tra cui ricordiamo
-La politica industriale giapponese,
-Wikileaks ed il Giappone,
-Un’elezione, due sistemi
….ma non è tutto.
Cosa sono le sez nordocoreane? chi è il vicepresidente cinese Xi? qual è il
ruolo della legge e della lingua nella concezione tradizionale cinese?
Le risposte a queste, e a molte altre domande, nelle prossime pagine!
Direttore
Cesare Marco Scartozzi
Caporedattore
Rebecca Ravalli
Autori
Guidogiorgio Bodrato
Simone Cattaneo
Giacomo Conti
Vittorio Maiorana
Enrico Nano
Rebecca Ravalli
Pietro Raviola
Giovanni Guido Rossi
marzo 2012 - numero 3
Maria Varvyanskaya
Grafica copertina
Fabio Camèra
L’associazione
Ass. Culturale Osservatorio dell’Asia
Orientale.
Via Palmieri 25, Torino, 10138, Italia.
C.F./P.IVA 97748700016
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Contattaci a
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Tel: +39 3936327215/ +39 3925303098
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n°3
In questo numero:
4
Le tre vite di Xi
6
Cina e ordine sociale tra sinocentrismo e “comunismo”
8
Through the lens of the chinese language
11 Cina: terra rara
14 SEZ: una prospettiva nordcoreana
18 Il valore di un nordcoreano all'estero
19 La politica industriale giapponese: Zaibatsu, Keiretsu e
third wave
22 Wikileaks ed il Giappone: quando si arriva troppo tardi
24 Un’elezione, due sistemi
pag. 14
pag. 18
pag. 19
pag. 4
pag. 24
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l’osservatore - marzo 2012
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3
Le tre vite di Xi
di Guidogiorgio Bodrato
La visita negli USA del vice-presidente cinese Xi prevedeva oltre ad un
incontro con il presidente Obama, una
partita di basket dei LA Lakers e una
breve visita a Muscatine, una minuscola
cittadina dell Iowa dove Xi aveva
soggiornato nel 1985 come parte di una
delegazione per l'allevamento.
Il programma della visita suggerisce
come Xi stia modellando un'immagine di
sé ben diversa dall'attuale presidente
cinese, Hu Jintao.
Xi Jinping guiderà la Cina nel prossimo
decennio. Xi ha 58 anni e come molti altri
astri nascenti della politica cinese è
cresciuto nell'era di riforme economiche
e di apertura di Deng Xiaoping.
Indicativo dell'imminente rinnovo
generazionale della politica cinese è il rapporto di Xi con l'Occidente.
Mentre il primo viaggio di Hu negli Stati Uniti risale solamente al 2002, Xi
e i suoi coetanei hanno visitato molte volte gli USA e addirittura la figlia
di Xi studia nell'Università di Harvard.
Lo Xi studente.
Nato nel Giugno del 1953, suo padre aveva preso parte alla Lunga Marcia
e aveva scalato le gerarchie del Partito fino ad arrivare ad essere
vicepremier. A quindici anni, travolto dalla rivoluzione culturale, il
giovane Xi venne mandato nella provincia nord-occidentale di Shaanxi
per essere educato dalle masse proletarie.
Nonostante avesse criticato apertamente la rivoluzione culturale, Xi si
iscrisse al Partito.
Le conoscenze della famiglia gli assicurarono un posto nell'Università di
Tsinghua seguito da un periodo come segretario di un potente generale
dell'Armata di Liberazione Popolare, Geng Biao.
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Lo Xi funzionario.
Finito questo periodo di istruzione, Xi si dedicò alla politica, cominciando
da una posizione di rilievo
nella provincia di Habei. Nel
1985, dopo il viaggio in
Iowa, venne trasferito nella
più ricca provincia del sud
di Fujian. Qui, nelle
provincie costali della Cina
meridionale, costruì la sua
carriera,
scalando
le
gerarchie del Partito e
creandosi la fama di leader
capace di adottare nuove idee, costruendo aziende e concludendo
accordi con investitori esteri.
Dopo uno scandalo per corruzione nel 2007, Xi sostituì il segretario di
partito Chen alla guida della città di Shangai. Dopo poco più di sei mesi,
fu nominato membro del Politburo, l'organo di direzione politica della
Cina, e successivamente vice presidente della commissione militare
centrale, suggerendolo come probabile successore del presidente Hu.
Lo Xi Presidente?
Quale sarà l'approccio di Xi come presidente rimane un enigma.
Nonostante la sua confidenza nelle relazione oltreoceano, niente prova
che cercherà una politica distensiva. "Ci sono alcuni ricchi stranieri che
non hanno niente di meglio da fare che interferire con le nostre questioni
interne. La Cina, primo, non esporta rivoluzioni. Secondo, non esporta
fame e povertà. Terzo, non causa problemi a nessuno. Cos'altro c'è da
dire?" ha dichiarato durante una visita in Messico nel 2009.
In ogni caso, cercare di scorgere in Xi i punti dell'agenda politica della
Cina per il prossimo decennio è ingannevole e nasconde la vera natura
del sistema politico cinese. Lui sarà "primo fra pari" all'interno del
Politburo e sarà espressione della volontà dei nove membri del comitato.
In più, Hu e gli altri membri della precedente generazione di funzionari
del Partito continueranno ad avere influenza.
Inoltre, nel 2011 è stato approvato un piano quinquennale e, in un
sistema come quello cinese fondato sulla continuità, difficilmente un
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cambio della leadership provocherà un immediato cambio di direzione. Xi
probabilmente seguirà le politiche previste dal piano quinquennale di Hu,
cementando nel frattempo la propria posizione e quella del nuovo
comitato, influenzando la politica cinese con le proprie idee in un
secondo momento.
Cina e ordine sociale tra
sinocentrismo e “comunismo”
di Rebecca Ravalli
Ogni società, in ogni tempo e in ogni luogo, ha delle regole proprie
fondamentali su cui i consociati basano i propri rapporti rendendoli
continui, prevedibili e, soprattutto, pacifici.
Questo insieme di regole fondamentali è ciò che viene comunemente
definito come ordine sociale.
Se da un lato si concorda sull'indispensabilità dell'ordine sociale per la
costituzione di una società equilibrata, dall'altro troviamo diverse
possibilità circa la forma che tale complesso può assumere, non
trattandosi, infatti, di norme positive bensì di regole che derivano da una
specifica visione del mondo e da un determinato modo di concepire le
relazioni umane.
Ciò che si tenterà di fare in questo breve articolo è capire come la civiltà
cinese concepisca l'ordine interno ed esterno e se questa visione sia
mutata nel corso dell'evoluzione storica. I due aspetti analizzati sono la
concezione tradizionale di ordine globale e il concetto di legge, in
particolare nella Cina dell'antichità.
Concezione tradizionale di ordine globale
Sinocentrismo: è questa la parola che riassume in sé l'atteggiamento
della Cina nel sistema di relazioni con altri popoli.
L'Impero, infatti, nonostante dalle altre popolazioni dell'Asia occidentale
venisse considerato un territorio ai confini del mondo (da qui la comune
definizione di “Estremo Oriente”), si riteneva il centro civilizzato di un
grande stato universale chiamato Tianxia, che significa “tutto sotto il
Cielo”, guidato dal “Figlio del Cielo”, ossia l'Imperatore, il quale incarnava
la figura di padre della comunità cinese, discendente dall' Imperatore
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Giallo e superiore ad ogni altra civiltà per il suo grado di sviluppo
culturale e civilizzazione.
Questo senso di superiorità non veniva manifestato, come in occidente,
attraverso la conquista bellica e l'espansionismo territoriale, ma
mediante un processo di integrazione delle popolazioni barbare, ossia
quelle popolazioni ritenute “sottocivilizzate” che dovevano cooperare e
adottare tradizioni e costumi cinesi per elevare il proprio livello di
civilizzazione ed essere considerate appartenenti alla grande comunità
cinese.
All'interno della società cinese, invece, vigeva un rigido sistema
gerarchico-patriarcale al cui apice risiedeva l'Imperatore, il solo
legittimato a governare su Tianxia sulla base di un mandato conferitogli
da una divinità celeste. Così, il comportamento dell'Imperatore era
l'unico perfettamente virtuoso e rispettoso delle norme rituali del li e
doveva essere imitato da tutta la comunità poiché solo la conformazione
alla sua diligenza poteva rendere grandioso e potente l'Impero cinese. Il
rispetto del li, inoltre, comportava una suddivisione in classi della società
tanto rigida da non consentire mai il passaggio da uno status all'altro.
Così, se l'ordine sociale verso l'esterno pone al centro Tianxia, quello
interno pone al centro l'Imperatore; se Tianxia è superiore ad ogni altra
civiltà, l'Imperatore è superiore ad ogni altro soggetto della comunità.
Ruolo della legge
Negli ultimi trent'anni la Cina, attraverso numerose riforme, ha
trasformato il proprio diritto da filosofico-tradizionale a positivo
(intendendo per positivo il diritto posto dallo Stato, presente in ogni
ordinamento occidentale).
Il diritto, infatti, sorge in Cina strettamente connesso alla dottrina di
Confucio per cui l'ordine sociale si basa sul mantenimento della pace e
dell'armonia, cosicché il singolo individuo deve imparare ad interiorizzare
le regole del buon comportamento del li attraverso un accurato percorso
educativo. La legge vera e propria, il fa, trova applicazione solamente se il
processo di educazione fallisce ed è necessaria una sanzione, dunque il
concetto di legge è collegato a un evento negativo: la perdita della virtù.
Per evitare che il singolo fallisca nella sua educazione egli ha bisogno di
una guida, di una figura “paterna” che gli dia il buon esempio:
l'Imperatore. Lo scopo, dunque, non è far sì che gli individui seguano
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delle regole per timore di una punizione ma fare in modo che essi si
comportino sempre secondo coscienza e secondo il proprio spirito
conformemente ai principi virtuosi del li, unica via per evitare che
ciascuno cerchi di realizzare i propri interessi egoistici, antagonisti della
virtù e del valore del culturalismo sinico.
L'opposizione tra interesse privato e interesse pubblico è alla base delle
numerose incomprensioni e dei crucci che suscita in noi occidentali il
sistema odierno cinese, basato sul paradosso di uno stato comunista con
economia di mercato, chiamato “Repubblica Popolare” in cui la
partecipazione popolare è pressoché assente (perlomeno per gli standard
occidentali), la generale accettazione di un
regime dittatoriale (anche se le ribellioni ci sono
e, come in ogni dittature che si ricordi, sono
represse nel sangue) che riconosce solo
formalmente i diritti umani ma in verità, proprio
per l'impostazione di ordine basata su obblighi e
doveri piuttosto che sui diritti, non trova reale
affermazione. Questi dubbi trovano una risposta,
anche se può non piacere, nella concezione
tradizionale cinese di diritto, in cui l'individuo
impara a rinunciare ai propri interessi particolari
per il bene della collettività: forse il
“comunismo” in Cina affonda le sue radici ben prima dell'avvento del
Maosimo.
Through the lens of the
chinese language
di Maria Varvyanskaya
Imagine yourself studying the Chinese language: you are learning characters that seem unreadable at first sight, you sound like singing a continuous melody while speaking.
It's an amazing picture, isn't it? When I attended a lecture on Chinese for
the first time, I was profoundly impressed, as if I found myself in another
world. Without a doubt, the Chinese language is very exotic. It is one of
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the most ancient and hardest languages on our planet.
Furthermore, it has got the oldest writing system still in use today and a
distinctive phonetic system involving the four main tones. The staggering
fact is that these linguistic distinctions influenced the Chinese way of
thinking. They also gave a boost to the emergence of some national character traits and particular psychological attitudes. However, in its turn
the language was influenced by the Chinese culture.
As an example of cultural influence can be the fact that in the Chinese
language there is a good amount of expressions containing the word
''tian''(天), which means ''sky, heaven''. The presence of this word in the
language expressions is associated with such an Ancient Chinese cult as
''Heaven worship''. People regarded the heaven as something presenting
the World Order and enabling every living thing to grow. This belief created a peculiar world-outlook in which the heaven was considered to exert a large influence on the destiny of the government and people. Thus,
the expressions with ''tian'' have a deep sense. Let's take the second
name of China ''Tian Xia''(天下) for example. It literally means '' under
the sky''. Since the Chinese people were always proud of their country,
they linked its name with ''the heaven'', the holiest thing for them. Since
then China started to be considered as ''a country under the warship of
the heaven''.
It should be noted that the devotion to own culture became a reason for
the emergence of some expressions and ''linguistic rules''. In particular,
they are connected with the Chinese ethical and philosophical system –
Confucianism. One of Confucian ideas is a respectful attitude towards
elders. Therefore, to address a person there is a rule to use the words
''Da''(大) meaning ''big'' and ''Xiao''(小) meaning ''little''. They must be
put before a family name. These words indicate the age and the status of
your interlocutor. For example, ''Da'' is used when turning to a person
older than you, and ''Xiao'' is used when addressing to a person younger
than you. And, last but not least, if you communicate with a familiar elderly person, you should add the word ''Lao'' before a family name. ''Lao''
means ''old and wise'' and expresses your high esteem for the person. It's
worth bearing in mind that Confucianism gave rise to the appearance of
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expressions on the theme of family. The philosophical system had a fundamental effect on the flourishing of family life. In Ancient China family
was recognized as the basic core of the society, and divorces were condemned and forbidden. There's a good example to show how family ties
were important for the Chinese people. The expression ''Da ba dao''(打八
刀) means ''get to divorce''. However, the literal translation which is
''beat eight knives'' can help to figure out the meaning that Ancient Chinese people wanted to stress. ''8'' is considered as a lucky number in
China, so the sense of the phrase ''beat eight knives'' is to refuse luck and
break happiness. In this way Chinese people described a person who was
going to divorce.
Apart from cultural influence on the language, Chinese itself created cultural phenomena, through which the Chinese philosophy of life was
shaped, once and for all. Some of these phenomena are superstitions.
Their appearance is connected with the fact that in the Chinese language
there are words that share the same spelling and the same pronunciation
but have different meanings. In linguistics such words are called homonyms. For instance, the word ''leave-taking'' (离- ''li'') and the word
''pear''(梨 - ''li'') are phonetically similar. It led to a superstition saying
that if friends and loving people share a pear with each other, they will
inevitably become separated and leave each other for ever. The presence of homonyms in Chinese mostly resulted in superstitions concerning
numbers. For example, number 8 (八 - ''ba'') and the word ''grow
rich'' (发 - ''fa'') sound alike. People believe that if you are surrounded by
this number, you’ll have a great chance to get lucky and become very
rich. Interestingly, Company ''Continental Airlines'' took advantage of this
opportunity and run a flight № 88 from Beijing to Newark costing 888$.
Undoubtedly, they made a good business decision. Not only ''8'' but
''9'' (九-jiu) is also a lucky number, because the homonym of this word is
''longevity''(久-jiu). Number 9 was always associated with emperors. According to the legend, the Chinese imperial palace ''The Forbidden City'',
served as the home of emperors, consists of 9999 rooms. Number 4(四''si''), on the contrary, is regarded as an unlucky number, because it
sounds similar to the word for ''death''(死- ''si''). The fear of ''4'' is so
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common in China, as this floor number is often skipped in buildings, ranging from hotels to offices and apartments, as well as hospitals. Even vehicle registration plates containing ''4'' are considered to bring bad luck to
their owners.
The main conclusion to be drawn is that the Chinese way of thinking is
very outstanding. The reasons for this fact are cultural and linguistic features, upbringing peculiarities and even widely divergent kinds of writing.
As Confucius once said: I don't get upset if people don't understand me –
but I get upset if I don't understand them. It's not always easy to reach an
understanding, especially, with strangers, but nobody says that it's impossible. As a rule, the first step to comprehension is learning the language. However, not everybody can afford to do it. Anyway, it's also important just to gather information about some aspects of their culture in
order to establish successful contacts with Chinese people. This article
comprises examples of some cultural and linguistic aspects, which will
help you to understand Chinese people and their intentions better.
Cina: terra rara
di Enrico Nano
Telefonini, fibre ottiche, semiconduttori. Leghe particolari, sistemi
missilistici, batterie di razzi
e cannoni. Ma anche
pannelli solari, sistemi di
levitazione magnetica dei
treni e turbine delle pale
da energia eolica. Che
cos’hanno in comune
molte delle produzioni
industriali d’avanguardia,
delle tecnologie militari e
di quelle ambientali?
La
loro
fabbricazione China’s Quotas for Rare Earth Production and Export, 2007-2010
(1,000 tons) - Source: Ministry of Commerce of PRC.
dipende dalla disponibilità
di minerali rari, le materie prime del futuro. La loro diffusione nel
sottosuolo ed estrazione è modesta, ma se ne prevede una forte crescita
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di utilizzo nei prossimi anni. I principali sono 17: prometio, litio, platino,
cobalto, flourite, gallio, germanio, grafite, titanio, magnesio, niobio,
palladio, ittrio, scandio, neodimio, tungsteno e le terre rare. Il neodimio,
per esempio, è l'elemento essenziale per la produzione di batterie e
motori delle auto ibride o elettriche, per l'hardware dei computer, per i
cellulari e per le telecamere. In campo militare, con il neodimio sono
costruiti i magneti che azionano le ali direzionali dei missili di precisione.
Con l'ittrio si producono invece le fibre ottiche e le lampadine ecologiche,
lo scandio è la materia prima dell'illuminazione da stadio, mentre il
prometio serve per le apparecchiature mediche di ultima generazione.
La particolarità geografica ed economica sta nel fatto che gran parte di
questi minerali viene estratto o commerciato dalla Cina. Infatti il suo
sottosuolo contiene, rispetto alle risorse mondiali, il 95% di terre rare
(elemento base per le nanotecnologie, le lampade a basso consumo, i
motori ibridi), l’87% di antimonio (usato per i semiconduttori), l’84% di
tungsteno (necessario nelle leghe avanzate), l’83% di gallio (base delle
celle fotovoltaiche), il 79% di germanio (fondamentale nelle fibre ottiche)
ed il 60% di indio (usato nelle celle fotovoltaiche). Con queste percentuali
la Cina schiaccia gli altri sette fortunati: USA, Russia, Repubblica
Democratica del Congo, Cile, Brasile, Sud Africa e Australia sono infatti
caratterizzati dalla presenza di uno o al massimo due minerali rari.
I principali importatori sono: Hong Kong, Giappone, USA, Corea del Sud e
Singapore. Alcuni di questi paesi a loro volta riesportano i minerali. Gli
Stati Uniti, ad esempio, importano da Pechino ben il 75% del loro
fabbisogno di questi preziosi elementi.
La Cina si trova quindi in una posizione dominante e mostra tutte le
intenzioni di far leva sul suo potere e su un ruolo che si avvicina a quello
di monopolista nel settore dei minerali rari, per obbligare il resto del
mondo ad accettare le proprie condizioni: non solo un trasferimento di
capitali per il loro acquisto ma soprattutto la cessione di segreti
industriali dai Paesi sviluppati.
Se da un lato la Cina è divenuta da tempo un grande consumatore di
minerali rari per la sua corsa violenta verso lo sviluppo tecnologico,
dall’altro l’Europa è totalmente dipendente in termini di importazione: è
priva della maggioranza di questi prodotti di base e non possiede
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nemmeno una delle dieci maggiori aziende minerarie mondiali che ne
gestiscono le estrazioni.
La situazione sta diventando sempre più delicata perché, negli ultimi 5
anni, il Governo cinese ha
ridotto le esportazioni di
minerali rari in media
dell’8% l’anno, negoziando
prezzi sempre più alti nel
mercato internazionale. Il
governo di Pechino spiega
che queste riduzioni servono
a riordinare l’industria e
consolidarla. Se saranno mantenuti gli attuali tassi di crescita dei consumi
a livello mondiale, i rischi cominceranno a farsi sentire entro i prossimi
venti anni.
Come se non bastasse, nel giugno 2010, la Cina ha nazionalizzato tutta
l’attività estrattiva di questi materiali critici, adducendo la scusa che
apparentemente l’estrazione delle terre rare avveniva in maniera
fraudolenta. Molti di questi metalli vengono estratti in condizioni di
lavoro e ambientali spesso disastrose.
In realtà, alcuni diplomatici occidentali a Pechino sospettano che la
mossa serva ad aprire una complicata trattativa con l’Occidente per il
trasferimento alla Cina di nuova tecnologie energetiche.
Per la Cina, infatti, la questione dei minerali è la chiave per la sostenibilità
di uno sviluppo di lungo periodo. Continuare a espandere l’economia
cinese significa dover soddisfare un bisogno crescente di energia, con la
conseguenza dell’aumento del prezzo del petrolio. Al fine di limitare le
importazioni la Cina avrebbe bisogno di tecnologie per il risparmio
energetico, che sono in mano ai Paesi sviluppati, in particolar modo agli
USA, che a loro volta necessitano dei metalli rari cinesi. Pechino deve
importare sia energia che tecnologia per risparmiare energia.
Il prezzo e la fornitura sul mercato di questi minerali allora diventano per
Pechino un punto di leva per ottenere dagli Stati Uniti brevetti e diritti a
prezzi e condizioni migliori. Washington è a sua volta interessata a cedere
queste tecnologie poiché tali cessioni potrebbero innescare una ripresa
industriale che parta da questo settore e tiri il paese fuori dalla crisi
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economica.
Tuttavia gli USA sono anche attenti a capire le condizioni e le garanzie ad
ampio raggio di protezione dei brevetti ma anche di sicurezza di questo
trasferimento tecnologico. Negli ultimi anni sono state bloccate le
estrazioni (ad esempio a Mountain Pass, California) in nome della tutela
ambientale, richiesta anche dai cittadini californiani. I minerali rari sono
infatti spesso uniti a sostanze radioattive e le miniere inquinano le acque
dell'area circostante: servirebbero tecnologie di tutela della salute dei
minatori e di preservazione dell’inquinamento delle acque dei fiumi, che
comportano però investimenti molto elevati. In Cina questi aspetti di
tutela ambientale e della salute dei minatori non sono considerati e il
governo procede senza indugio nell’estrazione di queste nuove risorse
strategiche.
SEZ: una prospettiva nordcoreana
di Pietro Raviola
La Corea del Nord: una sconosciuta terra infelice, di aspetto sinistro e
minaccioso, inconcepibilmente votata all’isolamento ed al
perseguimento di ideali appartenenti ad un mondo estinto; un Paese
canaglia, fossile della guerra fredda, posto ai margini di una delle aree del
mondo a dinamismo politico ed economico più elevato.
E’ generalmente questo il punto di partenza di coloro che, per la prima
volta, si interrogano sull’esistenza della Corea del Nord.
In primo luogo occorre chiarire un aspetto: non è possibile parlare di
Corea del Nord senza focalizzare l’attenzione sul contesto internazionale
in cui interagisce la DPKR.
In quest’ottica lo studio delle fattispecie in cui si concretizzano le
relazioni internazionali risulta di strategica importanza per rispondere
alla domanda: la Corea del Nord è davvero isolata?
Partiamo dai dati. Ad oggi circa 150 paesi, tra cui Canada, Regno Unito e
Italia, mantengono rapporti ufficiali con Pyongyang, mentre le
rappresentanze diplomatiche annoverano molti paesi del sud est asiatico,
la Cina, la Russia e, inaspettatamente, Svezia e Germania.
Molti sono i tratti che ci impediscono di definire la DPKR un Paese isolato
e tra questi vi è anche una situazione economica disperata, zavorrata
dalla quasi totale assenza di un sistema produttivo e, per tanto,
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dipendente dagli aiuti esterni.
L’impossibilità di avviare riforme economiche sul modello cinese, per
evitare di esporre la popolazione ad un’immagine di crescita e ricchezza
troppo vicina al modello sudcoreano,
e per tanto ritenuta
destabilizzante per il regime, ha spinto i vertici del Partito dei Lavoratori
Coreani ad adottare soluzioni alternative come l’apertura delle Special
Economic Zones, le SEZ nordcoreane.
Una sez è una regione geografica in cui vigono particolari condizioni
fiscali e amministrative favorevoli all’investimento di capitali, in
particolare stranieri, in attività produttive.
L’obiettivo dei vertici nordcoreani era quello di creare micro realtà di
capitalismo industriale in alcune aree periferiche del Paese, grazie
all’incontro d’ investimenti esteri e manodopera nazionale a basso costo,
in modo da rilanciare
un’economia
agonizzante, limitando al
contempo gli effetti
sociali,
che
riforme
economiche su più vasta
scala,
avrebbero
comportato.
Dal 1991 a oggi, sono
stati realizzati
tre Inaugurazione SEZ Hwanggumpyong.
esperimenti di questo
tipo: a Raseon, regione vicino al confine con Cina e Russia, a
Hwanggumpyong, isola nei pressi di Sinuiju sul fiume Yalu, a Kaesong nei
pressi della zona demilitarizzata al confine con la Corea del Sud.
Raseon, la prima delle sez, fu istituita nel ’91 con la speranza di attirare
investimenti per due miliardi di dollari, non solo per l’avviamento di
realtà industriali ma anche per la creazione di infrastrutture.
A causa della voluta lontananza dalle zone più abitate e alla quasi totale
mancanza d’ infrastrutture, Raseon è divenuta un luogo di contrattazione
per mercanti nordcoreani interessati all’importazione di merci cinesi,
trasformandosi successivamente in un’isola felice per il gioco d’azzardo
grazie alla creazione di un casinò, chiuso su pressione delle autorità
cinesi.
Il risultato fu un colossale disastro che ha visto in poco più di vent’anni
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l’investimento dell’irrisoria cifra di 35 milioni di dollari.
In tempi recenti si è nuovamente tornati a pensare a Raseon come un
possibile sbocco sull’oceano per le merci provenienti dalla Manciuria,
opzione che farebbe risparmiare ai produttori cinesi milioni di dollari di
trasporti.
Ancora più disperato è il caso di Hwanggumpyong. Per dotare la nuova
sez degli strumenti necessari ad un funzionamento efficiente, nel 2002
Pyongyang diede il via ad una colossale operazione di trasferimento di
popolazione: 350.000 abitanti della vicina città di Sinuiju vennero
trasferiti in blocco nelle zone interne, per lasciar posto a 200.000
lavoratori modello, in grado, secondo il Partito, di poter beneficiare dei
frutti del capitalismo,
senza venir meno alla
fede e all’obbedienza nei
confronti delle autorità
nordcoreane.
La regione è stata resa
autonoma dal punto di
vista
normativo
e
amministrativo
e
si
paventò persino l’idea di
accettare la giurisdizione
di giudici internazionali in Stazione di Kaesong costruita con capitali
sudcoreani.
caso di dispute.
A dirigere la sez, fu posto a sorpresa un industriale cinese, con
passaporto olandese, Yang Bing, incarcerato, in seguito, dalle autorità
cinesi per evasione fiscale.
Tanti sono i motivi per cui il progetto è fallito. Nonostante un iniziale
interesse cinese per la manodopera nordcoreana a basso costo (15-20 $
al mese), il governo di Pechino ha fatto intendere di non desiderar la
creazione di aree di concorrenza lungo il confine con la Corea del Nord.
Inoltre, non sono molte le imprese cinesi che hanno autonomamente
scelto di avviare una parte della loro produzione nella sez di
Hwanggumpyong , a causa dell’elevata componente di rischio legata ad
investimenti effettuati in uno dei paesi più “imprevedibili” al mondo.
La politica delle sez non ha portato unicamente fallimenti, grazie al
rapido sviluppo che ha conosciuto il distretto industriale di Kaesong,
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dove, almeno in campo produttivo, le due Coree hanno avviato una
proficua collaborazione, che vede operare sinergicamente capitali
provenienti da Seul e forza lavoro a basso costo selezionata dal governo
di Pyongyang.
Questo esperimento, che si concretizza in un’inaspettata joint venture tra
due paesi ufficialmente ancora in guerra, ha portato grandi vantaggi da
entrambe le parti.
Se da un lato i sudcoreani beneficiano di grande risparmio in termini di
costo del lavoro, dall’altro i nordcoreani ottengono grandi vantaggi in
campo di salari ed investimenti.
I redditi mensili (30-35 $) dei 47.000 lavoratori di Kaesong sono circa il
doppio rispetto alla media nazionale, mentre le imprese sudcoreane
presenti sono circa 120, per un volume di produzione totale pari a 323.3
milioni di dollari nel 2010.
Due sono i fattori che hanno determinato il successo della sez di
Kaesong.
In primo luogo gli investimenti non hanno riguardato solo il sistema
produttivo, ma anche le infrastrutture per il trasporto, tra cui ricordiamo
l’autostrada che collega il distretto nordcoreano alla Corea del Sud,
tramite un check-point nella zona demilitarizzata.
La presenza d’infrastrutture è stata determinante per trasformare un
progetto in via di declino, in una realtà economica straordinaria in
relazione al contesto in cui si è sviluppata, grazie al progressivo aumento
di nuove imprese interessate ad effettuare investimenti in Corea del
Nord.
In secondo luogo, tali imprese hanno beneficiato, da parte del governo
sudcoreano, di notevoli agevolazioni in termini fiscali e di finanziamento,
come incentivo ad assumere i rischi derivanti da investimenti in un Paese
dalle politiche imprevedibili, come la Corea del Nord.
Come spiegare questo comportamento da parte delle autorità di Seul?
Sicuramente l’esperienza di Kaesong non rappresenta un presupposto
per la stipulazione di un trattato di pace che ponga finalmente termine
alla guerra di Corea, ufficialmente ancora in corso, ma costituisce un
elemento di solidità all’interno di rapporti percepiti, da entrambe le
parti, come instabili e incerti.
l’osservatore - marzo 2012
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Il valore di un
nordcoreano all'estero
di Giacomo Conti
Viene dall'Inghilterra ed in parte la riguarda la notizia della scoperta di
una filiale produttiva della Edinburgh Woolen Mill ad Ulan Bator, in
Mongolia,
che
utilizza
manodopera
nord
coreana.
Lo “scoop”, per così dire, è stato riportato da un reporter investigativo
alla BBC, che ne ha fatto oggetto di una puntata di un suo programma.
L'apparente insignificanza della notizia non deve trarre in inganno, ed è
anzi enormemente importante come indice della terribile situazione
economica in cui versa il regime nordcoreano. Un paese così chiuso,
repressivo e controllato come la Corea del Nord pare infatti giunto al
punto di acconsentire, seppur di pochissimo, ad una certa emigrazione
della forza lavoro da sé ad altri paesi.
L'idea di autarchia, di autosufficienza (juche) nordcoreana sembra essere
derogata da questa anomalia, eppure le cose non sono esattamente tali.
Gli operai nordcoreani,
un'ottantina, “non si
lamentano, lavorano duro
e sono anzi piuttosto
capaci”,
dichiara
il
direttore della filiale
Mongola. Ma il denaro
spettante per il lavoro
duro e senza lamentele
non è consegnato loro:
quel che viene pagata, in
Campo di lavoro nordcoreano in Siberia.
realtà, è l'industria leggera Photos by Jason Mojica.
Nord Coreana, che poi
dovrebbe ridistribuire quel salario. Nessuno tuttavia sa come ciò venga
fatto, né se sia in definitiva vero.
Le paghe raggiungono le duecento sterline al mese: questo è il guadagno
potenziale ricavato dal lavoro di un operaio nordcoreano “espatriato”.
l’osservatore - marzo 2012
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Quello reale è probabilmente nullo.
La notizia è sintomatica dei problemi gravissimi che affliggono l'economia
nordcoreana. Il fatto che venga messa da parte quella chiusura, che poi è
la vera forza ed il vero collante del regime della DPRK, mostra senza
ombra di dubbio la necessità di superare gli embarghi per trovare e
guadagnare
ricchezza
altrove
con
metodi
“alternativi”.
Non è la prima volta che si sente di tali storie. Già nel 2009 si era
scoperto che alcuni nordcoreani lavoravano in una falegnameria nelle
parti più ad est della Russia. Anche in quel caso, i soldi andavano
direttamente ad istituzioni governative della Corea del Nord, e non ai
lavoratori. Nessuno si è mai interessato approfonditamente di cosa ne
venisse fatto poi di quel denaro. “Not in our intrerest” è stata una delle
risposte più gettonate da parte dei dirigenti interpellati. Insomma, finché
la manodopera lavora “duro e senza lamentarsi” non c'è ragione di
preoccuparsi più di tanto.
Malgrado le condizioni di lavoro che non si esiterebbe a definire
“assurde” nel nostro modo di pensare, l'idea di andare fuori dalla Nord
Corea è molto cara a numerosi nordcoreani che competono per
conquistare questo “posto di lavoro” all'estero. Ad inizio 2011, durante
un forum riguardante la Nord Corea tenutosi a Seoul, un esperto suggerì
addirittura che non si lesinasse corruzione ed altri metodi “discutibili” pur
di raggiungere questo agognato lavoro.
Il Dipartimento di Stato americano ha calcolato che potrebbero esistere
più di centomila lavoratori nordcoreani come questi dislocati in Russia,
Cina e Mongolia.
La politica industriale giapponese:
Zaibatsu, Keiretsu e third wave
di Giovanni Guido Rossi
Nel corso dell’ultimo decennio, a seguito della “lost decade” giapponese,
uno dei dibattiti più importanti e pressanti sviluppatisi nel paese “del Sol
Levante” ha riguardato la politica economica e soprattutto industriale. Il
dibattito ha coinvolto soprattutto quelle che sono peculiarità strutturali
dell’industria nipponica e un’eventuale terza evoluzione (third wave)
l’osservatore - marzo 2012
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dell’economia dell’arcipelago.
I tratti più caratteristici dell’economia e della società giapponesi, che la
differenziano da quelle occidentali, sono sicuramente il paternalismo ed
il militarismo, declinati in un fordismo che investe la vita del dipendente
dalla culla alla tomba, il primo; e in una forte organizzazione gerarchica
delle industrie, il secondo.
Entrambi questi aspetti si riscontrano molto bene in entrambe le
strutture industriali che hanno segnato la storia economica del Giappone:
Zaibatsu e Keiretsu.
Le Zaibatsu, abolite subito dopo la seconda guerra mondiale per ordine
del generale MacArthur (comandante supremo per le potenze alleate),
hanno rappresentato gli attori dominanti sulla scena economica
giapponese dalla rivoluzione Meiji alla seconda guerra mondiale e hanno
contribuito all’industrializzazione del paese ed alla creazione dell’Impero
Giapponese. Le Zaibatsu erano degli enormi gruppi industriali, attivi,
tramite le proprie aziende, in quasi tutti i settori dell’economia,
controllati da una holding
company in mano ad una
delle
grandi
famiglie
dell’aristocrazia industriale.
Le Shidai Zaibatsu ( le 4
grandi Zaibatsu: Mitsubishi,
Mitsui, Sumitomo e Yasuda)
controllavano interi settori
dell’economia dando vita a
veri e propri monopoli oltre
ad essere profondamente
legate agli apparati governativi e militari; per esempio è noto che la
Mitsui fosse molto vicina agli ambienti della Marina Imperiale così come
la Mitsubishi a quelli dell’Esercito.
Esse erano strutturate in modo verticale. Al vertice stava la holding
company di proprietà della famiglia, il consiglio di amministrazione della
holding, composto dai dirigenti delle aziende controllate, era il luogo di
decisione e, soprattutto, di coordinamento delle varie attività svolte dal
gruppo. Questo meccanismo permetteva di impostare strategie di mediolungo periodo e di raggiungere obiettivi che le singole aziende, da sole,
non avrebbero potuto raggiungere oltre a creare una rete di sostegno
l’osservatore - marzo 2012
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alle società in difficoltà. Questa struttura rendeva le Zaibatsu molto
competitive non solo sul mercato nazionale, ma anche su quello
internazionale potendo disporre di risorse molto ingenti.
Dopo il 1945, gli Stati Uniti decisero di smantellare la prassi delle Zaibatsu
e di rendere il sistema economico giapponese più libero e competitivo.
Sedici Zaibatsu furono smantellate, le holding companies eliminate e
furono vietati i consigli d’amministrazione comuni a più società.
Nonostante ciò, le caratteristiche peculiari della società nipponica
portarono ad un’evoluzione diversa rispetto a quelle che erano le
aspettative degli USA. Le varie società, infatti, tesero a riorganizzarsi in
grandi gruppi a struttura orizzontale: le Keiretsu.
La struttura della Keiretsu si estrinseca in un vincolo meno solido rispetto
al legame di proprietà proprio della Zaibatsu. Le società che compongono
la Keiretsu, infatti, non appartengono alla stessa holding company ma
sono, piuttosto, “alleate”. Quest’alleanza
consiste in canali preferenziali di credito, di
fornitura o di distribuzione, reciproca, nomina
di dirigenti e possesso incrociato di pacchetti
azionari. Il ruolo centrale della Keiretsu è
occupato, solitamente, da una banca che
procura le risorse finanziarie e, di fatto, dirige
e coordina le attività del gruppo. Anche in
questo caso è preservata la capacità di
impostare strategie di lungo termine e di
proteggere le società da rovesci improvvisi e
fatali.
Nonostante ciò nel decennio appena trascorso molte Keiretsu si sono
dovute rivolgere al mercato estero per risolvere i propri problemi
finanziari che non erano più in grado di affrontare da sole. Questa
crescente difficoltà del sistema economico ha fatto sorgere il dibattito
sulla “third wave” dell’economia. Sulla scia dell’evoluzione del
capitalismo mondiale l’idea sarebbe quella di rendere il mercato
giapponese più libero e fluido, come volevano gli americani nel ’45.
Riuscirà l’economia nipponica a modificarsi e ad entrare nell’alveo del
capitalismo à la occidentale oppure preferirà, ancora una volta, innovare
nella tradizione?
l’osservatore - marzo 2012
COREA DEL NORD
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Wikileaks ed il Giappone: quando si
arriva troppo tardi
di Simone Cattaneo
Nel corso degli ultimi anni, il diritto internazionale è stato stimolato da
interessanti sfide che la sfera dell’attualità ha generato con ritmo
indefesso. Una delle cartine di tornasole di questo trend è Wikileaks,
realtà cruciale sul versante atlantico ma non meno impattante in Europa
centro orientale ed in Asia: il Sol Levante è potuto entrare nel mirino
mediatico dell’organizzazione internazionale senza scopo di lucro1 di
Julian Assange in virtù del disastro dell’11 marzo 2011 di Fukushima
Daiichi, grazie ad un articolo pubblicato dal Telegraph il 15 marzo2 su
alcuni cables americani risalenti a tre anni prima, “catturati” proprio da
Wikileaks: nel dicembre 2008, un ufficiale dell’IAEA (International Atomic
Energy Agency) afferma che le misure di
sicurezza adottate dall’amministrazione
giapponese sono vecchie e sufficienti solo
ad affrontare terremoti di 6,5 Magnitudo
(Fukushima sarà vittima di un Magnitudo
9.0). Le rivelazioni risalenti a dicembre
registrano una consistenza nei fatti molto
più attendibile se inserite nel contesto di
altri cables, sempre intercettati dal team di
Assange, di soli due mesi prima:
l’ambasciatore J. Thomas Schieffer è
l’autore di un dettagliato rapporto diplomatico del 27 ottobre 2008,
relativo alle dichiarazioni del membro della Lower House del Diet
giapponese Taro Kono. Il parlamentare, in occasione della conferenza
Energy Attache del 21 ottobre dello stesso anno, ha denunciato la
solerzia con cui le compagnie elettriche giapponesi nascondessero gli
ingenti costi per il mantenimento e la sicurezza degli impianti nucleari,
dichiarando di impegnarsi nella direzione di una economica gestione
delle risorse in virtù di un piano di riciclaggio dell’uranio: Kono sostiene
che per effettuare questo riciclaggio, è necessario attivare i Fast Breeder
Reactors (FBR), spenti dal 1995 in seguito ad un grave incidente. È
proprio a causa della mancata adozione di questa tecnologia che le
l’osservatore - marzo 2012
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bollette giapponesi aumentarono, a causa dell’applicazione del MOX, il
Mixed Oxide fuel program, che secondo il parlamentare avrebbe reso più
economico l’acquisto di «una montagna di uranio in Australia». Egli
avrebbe anche ottenuto un’intervista divisa in tre parti sull’emittente
nazionale per denunciare queste dinamiche, ma fu cancellata negli ultimi
giorni in seguito alla minaccia delle majors elettriche di annullare i
contratti pubblicitari. Nelle interessanti pagine del cable si nota come la
critica muova dal piano tecnico ad uno sempre più politico-strategico:
decisamente non di giubilo sono le parole che Taro Kono riserva per il
Ministero dell’economia, del Commercio e dell’Industria (Ministry of
Economy, Trade and Industry, METI), accusato di aver cestinato i disegni
di legge per una più strutturale apertura alle energie alternative, con il
solo scopo di approvare il
Renewables
Portfolio
Standards (RPS), che limitava
drasticamente la percentuale
di energia che le compagnie
avrebbero dovuto acquistare
da fonti alternative. Oltre a
coprire incidenti nucleari, il
METI
è
accusato
di
ostracizzare, attraverso le
compagnie elettriche, l’uso
dell’eolico: gli impianti di Hokkaido e Honshu, se attivati
simultaneamente, sono più che sufficienti, a detta di Kono, per coprire il
fabbisogno delle regioni su cui si affacciano, ma il loro impiego in
contemporanea non viene permesso se non per “questioni di
emergenza” non specificate. Kono, infine, fa riferimento anche
all’incapacità del Giappone di garantire bacini permanenti ad alto livello
di sicurezza per lo stoccaggio delle scorie nucleari, ma solamente di
temporanei, data la fitta attività tellurica dell’isola: il parlamentare
esprime sgomento a proposito, in quanto se la montagna di Rokkasho
avrebbe potuto garantire solamente un deposito temporaneo delle
scorie, la vallata di Yucca sarebbe stata ben più predisposta a stoccaggi
duraturi, ma non venne presa in considerazione.Se mai si può imparare
una lezione dalla raccolta ahinoi tardiva di questi documenti, è che non
bisogna attendere Julian Assange con il solo scopo di recriminare su
l’osservatore - marzo 2012
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irresponsabilità governative soltanto a catastrofe compiuta: la speranza
è che, in un futuro il più prossimo possibile, si riesca a consacrare con il
giusto rispetto quella che il senso comune dovrebbe percepire come
informazione costruttiva.
Un’elezione, due sistemi
di Vittorio Maiorana
Il Presidente taiwanese uscente, Ma Ying-jeou, è stato rieletto per un
ulteriore mandato quadriennale con un voto certificante
l’apprezzamento per la sua linea politica, votata a mantenimento e
creazione di più intensi legami economici con la Cina continentale.
L’ esponente del Kuomintang (KMT) ha ottenuto, in occasione delle
elezioni del 14 gennaio 2012, il 51,5% dei voti, sconfiggendo la candidata
del Partito Progressista Democratico DPP Tsai Ing-wen fermatasi al 45,6%
e l’indipendente James Soong, destinatario del 2,7% delle preferenze.
Fondamentale, per il partito del Presidente, l’aver ottenuto anche la
maggioranza assoluta dei seggi dello Yuan Legislativo (il Parlamento
taiwanese), ciò garantisce la governabilità del paese e permette di
evitare pericolosi stalli come
quelli che paralizzarono a più
riprese l’attività di governo
dal 2000 al 2008, quando
Chen Shui-bian, Presidente
democratico, dovette fare i
conti con un legislativo a
maggioranza nazionalista (del
resto,
nell’ordinamento
statale taiwanese, ibrido tra
parlamentarismo e presidenzialismo, non esistendo un potere di veto
dell’esecutivo nei confronti delle leggi adottate dallo Yuan Legislativo, le
negoziazioni sono fortemente disincentivate laddove Parlamento e
Governo siano controllati da schieramenti contrapposti).
La vittoria del Presidente uscente è stata favorevolmente accolta da
Pechino e Washington, viste le promesse di mantenere pace e stabilità
nel delicatissimo Stretto di Taiwan e perseguire nella distensione
l’osservatore - marzo 2012
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delle relazioni economiche con la Cina. Distensione iniziata formalmente
nel 2008, dopo otto anni di governo democratico poco incline a
compromessi in cui a più riprese si rischiò lo scontro militare con
l’ingombrante vicino, nel momento il cui un Ma Ying-jeou appena salito al
potere modificò formalmente i tre principi del popolo (ideologia cardine
del Kuomintang, partito che plasmò la Taiwan moderna e la governò
ininterrottamente dal 1949 al 2000) da ”anticomunismo, nazionalismo
cinese e conservatorismo” a “no all’indipendenza, no all’unificazione, no
all’uso della forza”.
Dal secondo dopoguerra Pechino afferma la sua sovranità sulla ricca
isola, dove i nazionalisti trapiantarono la loro ideologia e le loro
istituzioni in seguito alla “comunistizzazione” della Cina continentale e
paventa l’invasione qualora Taiwan dovesse dichiarare formalmente la
propria indipendenza, cosa che Chen Shui-bian fu in procinto di fare in
più occasioni. Non esistono e non sono mai esistite relazioni diplomatiche
tra Cina e Taiwan nazionalista. Esiste, di contro, un accordo vincolante
con gli USA in cui questi si obbligano a soccorrere Taiwan in caso di
intervento militare cinese.
E’ evidente, quindi, che la prospettiva di una Taiwan sostanzialmente
stabile e moderata per i prossimi quattro anni sia tanto nell’interesse
cinese, quanto nell’interesse americano, quanto nell’interesse del
potentissimo estabilishment economico taiwanese, ormai fortemente
dipendente dai rapporti con la Cina, che importa il 40% delle
esportazioni totali del nemico; negli ultimi quattro anni Taiwan ha
stimolato la creazione di collegamenti aerei e piani d’investimento con la
Cina e nel 2010 è stato firmato il primo accordo commerciale ufficiale tra
i due Stati, nonostante ciò c’è chi ancora lamenta lacune nel processo di
liberalizzazione del settore bancario e assicurativo, lacune che ostacolano
il flusso di investimenti stranieri (e cinesi, soprattutto).
Il Presidente Ma ha dichiarato, poco dopo il voto, che durante il suo
secondo mandato provvederà ad ultimare riforme cruciali già avviate nei
primi quattro anni di governo (incluse vaste, liberiste, strutturali riforme
del sistema economico), con gli obbiettivi di accedere alla Trans-Pacific
Partnership, una nuova piattaforma per l’integrazione economica nel
l’osservatore - marzo 2012
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Pacifico promossa dagli USA, entro il 2020 e di sfruttare le enormi
potenzialità scaturenti dal fatto di avere un mercato come quello cinese a
poche decine di chilometri dalle proprie coste. Leaders delle più potenti
compagnie taiwanesi come Acer, Asus, Evergreen Group (tra i primi al
mondo per il volume di merci spostato su nave), Pegatron Corporation,
HTC, spaventati dall’instabilità potenzialmente derivante da una vittoria
democratica, dopo aver fatto apertamente campagna elettorale per il
Kuomintang, hanno provveduto a manifestare il proprio sollievo per
l’andamento delle elezioni
e sollecitare Ma Ying-jeou
a proseguire sul percorso
di apertura già intrapreso.
Ma a Taiwan non tutti la
pensano come i consigli
d’amministrazione
delle
società multinazionali, il
fronte degli intransigenti
(secondo cui la Cina
continentale non può definirsi Cina essendo Taiwan l’unica Repubblica di
Cina) è tutt’altro che marginale nella società taiwanese e non pochi sono
quelli che, più banalmente, criticano il crescente gap tra classi sociali, tra
città e campagne e le difficoltà dei più giovani ad inserirsi nel mondo del
lavoro. Era la sconfitta candidata democratica a convogliare queste
istanze, il rieletto Presidente sembra però voler comunque dare ascolto
anche alle voci più critiche: a pochi giorni dalle elezioni ha affermato che
farà di tutto per facilitare il dialogo con le opposizioni e trovare soluzioni
condivise alle problematiche sociali, che saranno parte fondamentale
dell’agenda di governo.
Amministrare Taiwan, uno Stato riconosciuto solo da 23 nazioni e che
nemmeno le Nazioni Unite sanno come classificare, un territorio conteso
e snodo di rischiosi giochi geopolitici tra superpotenze, non è mai stato e
mai sarà semplice, Ma Ying-Jeou, moderato e amico di tutti, sembra
essere sulla strada giusta. Fortuna a lui e ai taiwanesi
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